Oggi a Lampedusa, l’UNHCR, l’Agenzia dell’ONU per i Rifugiati, si unisce alla società civile, alle autorità locali e nazionali, ai sopravvissuti del naufragio, e ai sostenitori dall’Italia e da tutto il mondo per commemorare la Giornata nazionale della Memoria e dell’Accoglienza, istituita per legge nel 2016 per onorare i 368 rifugiati e migranti che sono morti nel tragico naufragio al largo di Lampedusa il 3 ottobre 2013, e tutti coloro che hanno perso la vita durante la traversata in mare.
Il numero delle persone che tentano di arrivare in Europa via mare è diminuito drasticamente negli ultimi anni, in particolar modo lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Allo stesso tempo, il numero di vite perse è salito proporzionalmente. All’inizio di questa settimana, è stato sorpassato il tragico traguardo di oltre 1.000 persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo nel 2019, la maggior parte delle quali nella rotta tra la Libia e l’Europa. Dall’inizio del 2014, oltre 15.000 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale nel tentativo di raggiungere la sicurezza.
Possiamo, e dobbiamo, fare di meglio.
L’UNHCR ribadisce la sua posizione secondo cui è necessario ripristinare con urgenza la piena capacità di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Ciò dovrebbe includere il ritorno in mare di un’operazione di ricerca e soccorso degli Stati dell’UE. Le risorse aeree possono fornire il necessario supporto, ma non potranno mai tirare fuori dall’acqua le persone in difficoltà. Tutti gli Stati nel bacino del Mediterraneo devono sostenere le proprie responsabilità per garantire che le persone vengano salvate e fatte sbarcare rapidamente, con la priorità essenziale di salvare vite umane.
E’ tempo di ringraziare e riconoscere le ONG partner, che negli ultimi anni hanno giocato un ruolo cruciale nell’assicurare che il bilancio delle vittime non fosse ancora maggiore. Quando raggiungono la terraferma dopo aver salvato persone in mare, le loro navi non dovrebbero essere sequestrate e i loro equipaggi non dovrebbero essere arrestati. I loro sforzi sono da elogiare e non da criminalizzare o stigmatizzare.
L’UNHCR accoglie con favore le recenti discussioni tra gli Stati sull’istituzione di un approccio regionale per lo sbarco delle persone soccorse in mare. Dovremmo ricordare che soccorrere le persone significa tirarle fuori dall’acqua e portarle sulla terraferma in un luogo sicuro. Speriamo che il prossimo Consiglio Giustizia e Affari interni che si terrà l’8 ottobre vedrà ulteriore progressi, nello spirito della condivisione delle responsabilità e della solidarietà.
Allo stesso tempo, sono necessari sforzi per affrontare le cause che spingono le persone a fuggire, includendo un maggiore supporto ai Paesi di transito e di asilo, e rinnovati sforzi per negoziare e sostenere la pace.
Infine, abbiamo bisogno di una più ampia comprensione che nell’attuale situazione di violenza la Libia non è un luogo sicuro per le persone salvate in mare. Da aprile, l’intensificarsi della violenza ha peggiorato una situazione di sicurezza già instabile. Fino a quando non si verificherà un drastico cambiamento della situazione, la Libia non può essere considerata un luogo sicuro per lo sbarco di persone soccorse in mare.
A tre mesi dall’attacco aereo al centro di detenzione di Tajoura, in cui hanno perso la vita più di cinquanta rifugiati e migranti detenuti, le persone salvate e intercettate in mare dalla Guardia costiera libica continuano a essere riportate in Libia e regolarmente detenute nei centri di detenzione, dove si trovano ad affrontare condizioni terribili, spaventose violazioni dei diritti umani e la crescente minaccia di essere coinvolte nelle ostilità. L’UNHCR continua a chiedere la chiusura di tutti i centri di detenzione. Il decreto del Ministero dell’Interno del 1 agosto che ordina la chiusura di tre centri di detenzione è un positivo passo in avanti, che ora deve essere attuato concretamente.
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