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Q&A: ‘Includere i rifugiati nei programmi di vaccinazione rappresenta un fattore chiave per porre fine alla pandemia’

Mike Woodman, della Sezione UNHCR per la Salute Pubblica, spiega in che modo l’organizzazione sta lavorando per assicurare che milioni di persone in fuga in tutto il mondo siano protette dal COVID-19.

Di Tim Gaynor  |  14 Gen 2021

Un medico prepara il vaccino contro il COVID-19 da somministrare alla rifugiata irachena Raia Al Kabashi. © UNHCR/Jose Cendon

L’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, sta lavorando per assicurare che circa 80 milioni di persone costrette alla fuga, tra cui 29,6 milioni di rifugiati, in oltre 100 Paesi siano incluse nei programmi di vaccinazione e di trattamento contro il COVID-19. Mike Woodman, alto funzionario UNHCR per la salute pubblica, ha parlato di alcune delle criticità esistenti insieme a Tim Gaynor, redattore del sito web internazionale.


A chi spetta la responsabilità di vaccinare rifugiati, sfollati interni e apolidi?

Le autorità nazionali sono responsabili dei piani di risposta di salute pubblica e delle campagne di vaccinazione contro il COVID-19. La consegna e la somministrazione dei vaccini ai rifugiati e ad altri beneficiari del nostro mandato saranno coordinate dalle autorità sanitarie nazionali. A organizzazioni nazionali, internazionali e partner della società civile può essere chiesto di supportare tali sforzi.

Tutti i governi si sono impegnati a includere i rifugiati nei propri programmi di vaccinazione?

L’UNHCR svolge incessantemente attività di advocacy a livello nazionale, regionale e globale affinché rifugiati e altri beneficiari del suo mandato siano inclusi nelle strategie nazionali.

Ad oggi, su 90 Paesi attualmente impegnati a sviluppare strategie nazionali di vaccinazione contro il COVID-19, 51 – ovvero il 57 per cento – hanno incluso i rifugiati nei propri piani di vaccinazione.

Prendiamo parte a discussioni e processi decisionali nell’ambito di COVAX – l’iniziativa globale volta ad assicurare un accesso rapido ed equo ai vaccini anti COVID-19 per tutti i Paesi.

Stiamo lavorando con i partner internazionali per assicurare che ‘non lasciare indietro nessuno’ e ‘accesso equo ai vaccini’ non restino solo frasi, ma si traducano in prassi.

Quali sono i rischi e le conseguenze se i rifugiati non vengono inclusi nei piani di vaccinazione nazionali? 

Secondo il ragionamento adottato nell’ambito della salute pubblica, è impossibile interrompere o rallentare in modo sostenibile la trasmissione del virus a meno che almeno il 70 per cento della popolazione abbia acquisito l’immunità.

Assicurare che i rifugiati siano inclusi nei programmi di vaccinazione rappresenta un fattore chiave per porre fine alla pandemia. L’esclusione di rifugiati, persone in fuga o non-cittadini dai piani di vaccinazione comporta un rischio di trasmissione continua in queste popolazioni, con ricadute sulla popolazione nazionale.

Associati all’esclusione dei rifugiati esistono rischi tangibili in materia di protezione, che comprendono conseguenze sulla loro salute, l’accesso a servizi, lavoro, istruzione e mezzi di sostentamento, libertà di movimento e libertà da discriminazioni.

Dove possiamo aspettarci di vedere le prime vaccinazioni di rifugiati?  

La Giordania ha iniziato a vaccinare i rifugiati. Nell’ambito del piano nazionale di vaccinazione anti COVID-19 avviato questa settimana, chiunque soggiorni su territorio Giordano, compresi rifugiati e richiedenti asilo, ha diritto di essere vaccinato gratuitamente.

Nei prossimi mesi, la Giordania mira a vaccinare il 20 per cento della propria popolazione e, a tal fine, ha già acquisito tre milioni di dosi di vaccino.

Fin dallo scoppio della pandemia, i rifugiati sono stati inclusi nel piano nazionale di risposta e hanno potuto accedere ad assistenza sanitaria e cure mediche su un piano paritario coi cittadini giordani.

A chi verrà data priorità tra i rifugiati? 

Riconoscendo che la disponibilità di vaccini sarà inizialmente limitata, il gruppo consultivo strategico di esperti dell’OMS sulla vaccinazione e gli stakeholder dell’iniziativa COVAX hanno concordato un quadro di distribuzione che assicuri che i vaccini e i trattamenti anti COVID-19 efficaci siano condivisi in modo equo tra tutti i Paesi.

Secondo il quadro tutti i Paesi dovrebbero ricevere un numero di dosi proporzionale alle dimensioni della propria popolazione per poter immunizzare i gruppi prioritari, quali anziani, persone portatrici di malattie croniche, o persone immunodepresse. Un’altra priorità è costituita dal personale sanitario e da altre figure che ricoprono ruoli essenziali per il sistema.

Solo i rifugiati e le altre persone sotto il mandato dell’UNHCR che rientrano in una della categorie nazionali prioritarie saranno vaccinati inizialmente. Tutti gli altri potranno essere vaccinati man mano che i programmi saranno implementati.

Esiste una scadenza entro cui vaccinare tutti o la maggior parte dei rifugiati?

Non è realistico fissare delle scadenze. La maggior parte dei Paesi non ha ancora ricevuto i vaccini. Ma gli ostacoli che condizionano capacità di produzione, forniture e la logistica potrebbero protrarsi per buona parte del 2021 in numerosi Paesi. L’aspetto importante è quello di assicurare che i rifugiati accedano ai programmi di vaccinazione allo stesso modo dei cittadini dei Paesi di accoglienza.

L’ottantasei per cento dei rifugiati vive in Paesi in via di sviluppo. In alcuni casi si tratta di Stati fragili che dispongono di sistemi di salute pubblica molto limitati. Quali particolari criticità si rilevano rispetto alla realizzazione dei programmi di vaccinazione?

Il vaccino attualmente approvato richiede una catena del freddo continua fino all’ultimo km. Tale necessità pone una sfida enorme per la maggior parte dei Paesi che accolgono rifugiati e significa che un approccio decentralizzato alla distribuzione dei vaccini come quello utilizzato in occasione di altre vaccinazioni è molto difficile da implementare.

L’infrastruttura della maggior parte dei programmi nazionali di vaccinazione routinari è impostata in modo da consentire la gestione della catena del freddo fino al momento di somministrare il vaccino, ma le attrezzature della catena del freddo esistente sono inadeguate per gestire il vaccino anti COVID-19 attualmente disponibile. Tuttavia, è previsto che saranno approvati altri vaccini anti COVID-19, compresi quelli che possono essere gestiti con i normali sistemi di catena del freddo già operativi.

L’UNHCR coordina le attività di vaccinazione con i programmi nazionali di vaccinazione, le autorità sanitarie, i partner nel campo della salute, l’UNICEF e l’OMS. Ma l’UNHCR non dispone delle capacità tecniche per implementare direttamente le attività di vaccinazione. L’Agenzia lavorerà coi partner nazionali per supportare la realizzazione delle campagne di vaccinazione.

Una minoranza di persone mostra resistenze rispetto alla volontà di vaccinarsi. Cosa sta facendo l’UNHCR per contrastarle?

Insieme a nostri partner della salute e alle comunità di rifugiati, siamo in una posizione privilegiata per comunicare, informare ed educare in merito all’importanza di vaccinarsi e a come, dove e quando accedere ai vaccini.

È fondamentale diffondere il messaggio quanto più possibile. A tal fine, i contributi di migliaia di rifugiati in tutto il mondo impegnati in prima linea contro la pandemia come medici, infermieri e operatori sanitari sul territorio, saranno vitali.

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