E’ stato in un caldo pomeriggio di questi che il sogno di Mohamed Ahmed Jamil Musa è diventato realtà: ha ritrovato i suoi fratelli e sorelle dopo più di mezzo secolo.
Ci sono stati scambi di notizie, lascrime e abbracci durante l’incontro nel reparto dell’Ospedale di Khartoum, dove Mohammed, sudanese di 76 anni, era ricoverato. Non avendo avuto sue notizie da 57 anni, la sua famiglia pensava fosse morto. “Tutti noi abbiamo pianto per lui quando abbiamo perso i contatti. Abbiamo perso ogni speranza di rivederlo,” racconta uno dei suoi fratelli, Adam Ahmed Jamil Musa.
Il ricongiungimento familiare, che dopo molte difficoltà e a distanza di tanto tempo sembrava improbabile, è stato reso possibile grazie al supporto dell’UNHCR, che è riuscito a rintracciare la famiglia dai frammenti di informazioni che Mohamed è stato in grado di richiamare alla memoria.
L’UNHCR risolve in media quattro casi di ricongiungimento familiare al mese in Sudan.
Le ricerche sono cominciate a giugno, quando Mohamed è tornato in Sudan dopo anni di esilio nella Repubblica Democratica del Congo (RDC).
Lo staff UNHCR in Sudan aveva scoperto che l’uomo proveniva dal villaggio di Umm Sangor, nella regione di Al Obeid, nel Sudan centrale, e che era andato a Khartoum nel 1950, dove aveva lavorato come operaio edile. A metà degli anni ’60 si era trasferito a Kaya, in Sud Sudan e aveva cominciato a lavorare nel commercio agricolo.
Quando scoppiò la guerra civile nel Sud Sudan nel 1983, Mohamed fuggì attraverso il confine verso la città di Isiro, in RDC. Qui ha lavorato come commerciante di vestiti facendo la spola tra la RDC e l’Uganda, ma era difficile sbarcare il lunario. Mohamed nel frattempo ha avuto tre mogli, ma nessun figlio.
Ha deciso di tornare in Sudan all’inizio di quest’anno e iniziare la ricerca della sua famiglia con l’aiuto dell’UNHCR. L’Agenzia ha terminato il suo programma di rimpatrio dalla RDC a giugno, e Mohamed è arrivato a Juba su uno degli ultimi convogli.
Ma il suo caso si è rivelato particolarmente difficile. “Mentre il tempo passava e la ricerca a Juba non dava risultati posititivi, Mohamed ha cominciato a demoralizzarsi e a pregare l’UNHCR di trasferirlo in una moschea a Khartoum. Ci ha detto di voler vivere lì da solo”, racconta Onyekachi Madubuko, un operatore dell’UNHCR a Juba.
L’Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite, invece, ha tovato una sistemazione per Mohamed in una casa di riposo a Khartoum, e lo ha portato in ospedale quando si è ammalato. “Sentivamo che stare a Khartoum, un luogo a lui familiare, avrebbe potuto rinfrescargli la memoria e migliorare le sue condizioni di salute,” racconta Madubuko.
Ma quando sembrava che non si facesse nessun passo avanti e la soluzione sembrava sempre più lontana, un operatore dell’UNHCR, Salah Idris, ha pensato di ricercare il capo della tribù di Mohammed nella remota regione di Al Obeid.
E’ stato un viaggio lungo e difficile, di villaggio in villaggio, su e giù per le montagne e attraverso il paesaggio arido. Così Idris ha scoperto che la famiglia di Mohamed poteva essersi trasferita a 1,000 kilometri di distanza, nel Sudan orientale.
Una settimana dopo, il fratello di Mohamed, Adam, si è presentato all’ufficio dell’UNHCR di Khartoum. “Quando gli ho mostrato la foto è rimasto calmo, ma sentivo che stava nascondendo un vulcano di emozioni. Appena ho lasciato il mio ufficio l’uomo è scoppiato in lacrime. E’ stato un momento molto commovente,” racconta Idris.
Intanto all’ospedale anche Adam ha riconosciuto immediatamente suo fratello dalla foto. “L’ho riconosciuto dal tatuaggio sulla fronte. Abbiamo questi tatuaggi nella nostra tribù,” ha detto. “Ce li facciamo davanti e dietro la testa. Quando ho visto il documento d’identità non ho avuto piu’ alcun dubbio che si trtattasse di mio fratello.”
Adam si è quindi rivolto a Idris per ringraziare lui e l’UNHCR per aver reso possibile il ricongiungimento. “Per torvare la nostra famiglia, è andato laggiù dove nessuno vorrebbe andare neppure a pagamento!” ha aggiunto il fratello con gratitudine.
La storia di Mohamed dimostra che in molti casi perseverare premia. “Il ricongiungimento familiare è uno dei principi di protezione dell’UNHCR” afferma Chris Ache, rappresentante dell’UNHCR in Sudan. “E’ perciò molto importante per noi rintracciare i membri della famiglia delle persone che tornano nel paese di origine e hanno perso completamente i contatti con i loro parenti a causa della guerra”.
L’UNHCR ha assistito più di 8,000 rifugiati sudanesi come Mohamed a tornare a casa dalla RDC nell’ambito di un programma di ritorno volontario assistito cominciato l’anno scorso e terminata a giugno. Dalla firma dell’accordo di pace tra il governo centrale e l’Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan a gennaio 2005, più di 162,000 rifugiati sudanesi sono tornati a casa, tra cui 70,000 con l’assistenza dell’UNHCR. Nel 2008, l’UNHCR ha pianificato di supportare il ritorno di 80,000 rifugiati sudanesi dai paesi vicini.
Di Ayman Elsir in Khartoum, Sudan
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