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Il cambiamento climatico alimenta gli scontri che costringono migliaia di persone a fuggire in Camerun

In Camerun, la diminuzione delle riserve d’acqua è alla base degli scontri tra pastori e pescatori che hanno spinto migliaia di persone a fuggire sia all’interno del paese che in Ciad.

Di Aristophane Ngargoune a Oundouma, Ciad  |  9 Set 2021

Amina era incinta quando è fuggita dalla violenza in Camerun. Ha partorito solo due giorni dopo essere arrivata in Ciad con l'aiuto di un'ostetrica locale. © UNHCR/Aristophane Ngargoune

In circostanze normali, piccole barche attraversano il fiume Logone, che segna il confine tra Camerun e Ciad, in entrambe le direzioni. Ma nelle ultime tre settimane, 11.000 camerunesi, il 98% dei quali donne e bambini, hanno fatto un viaggio di sola andata verso il Ciad.


La regione dell’estremo nord del Camerun ha appena sperimentato la più letale violenza intercomunitaria della sua storia tra pastori arabi Choa e pescatori e agricoltori Musgum. Dal 10 agosto, 19 villaggi sono stati incendiati e 40 villaggi sono stati abbandonati dai loro abitanti spaventati. Almeno 45 persone sono state uccise e altre 74 ferite.

Altre 15 persone sono scomparse e si teme che siano morte mentre cercavano di attraversare il fiume Logone verso il Ciad.

“Ho visto persone morire, proprio davanti ai miei occhi”.

Jean-Pierre Semana, un camerunense arabo di 52 anni, ha attraversato il fiume sano e salvo con sua moglie e i suoi sei figli fino a Oundouma, un villaggio sul lato ciadiano del fiume. “È stata la guerra a portarmi in Ciad”, ha detto. “Sono stato costretto a fuggire. Durante la mia fuga, ho visto persone morire, proprio davanti ai miei occhi”.

La popolazione di Oundouma è triplicata in una quindicina di giorni con l’arrivo di 3.000 rifugiati. Il resto dei rifugiati sono sparsi in sette villaggi lungo il fiume Logone.

L’Agenzia ONU per i Rifugiati, l’UNHCR, e i suoi partner hanno distribuito beni di prima necessità, allestito cucine comunitarie per servire pasti caldi e costruito quattro rifugi comuni, ma il bisogno di più cibo, acqua e riparo rimane urgente con molti rifugiati che dormono ancora sotto gli alberi nonostante i frequenti acquazzoni.

“Siamo nel mezzo della stagione delle piogge e la malaria colpisce il 76% della popolazione, sia i rifugiati che le comunità ospitanti”, ha detto Iris Blom, vice rappresentante dell’UNHCR in Ciad, che ha visitato recentemente Oundouma.

Ha aggiunto che l’UNHCR ha allestito cliniche mobili e distribuito medicine e zanzariere, ma le forti piogge hanno reso quasi impraticabili le strade che portano ai villaggi isolati dove si rifugiano i rifugiati.

Nonostante le difficoltà causate dalle piogge, è la loro assenza la causa principale degli scontri che hanno spinto all’esodo dal Camerun.

Il cambiamento climatico è una realtà in questa regione del Sahel dove le temperature stanno aumentando 1,5 volte più velocemente della media globale e l’ONU stima che l’80% dei terreni agricoli è degradato. Negli ultimi 60 anni, la superficie del lago Ciad, di cui il fiume Logone è uno dei principali affluenti, è diminuita fino al 95%.

Di fronte a questa situazione, i pescatori e gli agricoltori Musgum hanno scavato vaste trincee per trattenere le restanti acque del fiume in modo da poter pescare e coltivare. Ma le trincee fangose creano trappole per il bestiame dei pastori arabi di Choa. In diverse occasioni, il loro bestiame vi è rimasto incastrato e si è persino rotto le gambe nel tentativo di uscirne.

È stato uno di questi incidenti a scatenare gli scontri scoppiati il 10 agosto. Sono state impugnate armi tradizionali come archi e machete e lo scontro è rapidamente degenerato.
Amina Moussa, una donna Musgum di 20 anni, era incinta e quasi al termine della gravidanza quando la violenza l’ha costretta a fuggire. Ha sentito le prime contrazioni mentre era ancora in viaggio.

“Dovevo riposare ogni 100 metri”, ha ricordato dalla casa di una famiglia locale a Oundouma dove ha trovato rifugio. “Sono stata aiutata a partorire da un’ostetrica del villaggio due giorni dopo il mio arrivo qui”.

Amina ha lasciato suo marito in Camerun e non ha ricevuto notizie di lui da quando è arrivata in Ciad.

Il Camerun ha dispiegato le forze di sicurezza e ha intrapreso operazioni di disarmo e di mediazione per porre fine agli scontri. Sebbene sia stata ripristinata una relativa calma, molti dei rifugiati e delle 12.500 persone sfollate in Camerun non torneranno immediatamente, specialmente quelli le cui case sono state bruciate.

I contadini non sono stati in grado di occuparsi dei loro raccolti per diverse settimane nel mezzo della stagione delle piogge, un momento cruciale in cui le colture richiedono molta cura. Gran parte del raccolto è andato perduto.

L’UNHCR e i suoi partner stanno sostenendo le autorità camerunesi e ciadiane per rispondere all’emergenza, ma trovare soluzioni a lungo termine agli impatti del cambiamento climatico è una sfida più complessa.

Un progetto infrastrutturale su larga scala chiamato Transaqua per deviare l’acqua dal bacino del fiume Congo al lago Ciad attraverso un canale lungo 2.400 chilometri è stato preso in considerazione per decenni, ma gli scavi non sono ancora iniziati. Se e quando andrà avanti, rifornirebbe solo il fiume Chari, il principale affluente del lago, ma avrebbe un impatto limitato sui livelli d’acqua del fiume Logone.

Nel frattempo, le risorse per affrontare gli impatti umanitari dell’emergenza climatica sono limitate. Il Ciad ospita già 510.000 rifugiati e il Camerun 450.000 e al 1° agosto le operazioni dell’UNHCR in entrambi i paesi erano gravemente sottofinanziate, con meno della metà del fabbisogno finanziario per il 2021 coperto. Sono urgentemente necessari ulteriori finanziamenti per rispondere ai bisogni degli sfollati in entrambi i paesi.

Ulteriori informazioni da Moise Amedje Peledai e Helen Ngoh Ada in Camerun

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