Secondo un sondaggio condotto dall’UNHCR la metà dei venezuelani in fuga è particolarmente vulnerabile, in quanto esposta a rischi specifici legati a età, genere, condizioni di salute o perché hanno dovuto compiere scelte drastiche per sopravvivere.
I continui blackout nella città venezuelana di Maracaibo hanno avuto un terribile impatto sulla popolazione, in particolare su Adrianna*, 24 anni, che soffre di un disturbo cognitivo che ha interrotto il suo sviluppo intellettivo quando aveva circa sei anni.
Senza elettricità, sua madre Carolina* non poteva più farle ascoltare musica o farle guardare film per calmarla, come era solita fare.
Con il deteriorarsi della situazione a Maracaibo, ai disagi creati da blackout sempre più frequenti e di lunga durata si è poi aggiunto il fatto che alla famiglia è stato negato l’accesso ai servizi di base a causa dell’attivismo politico di Carolina, che militava nell’opposizione.
Privata di acqua, elettricità, TV e musica, Adrianna ha cominciato a diventare aggressiva, a strapparsi i capelli e a farsi del male. A causa del peggioramento delle sue condizioni di salute, oltre alla continua repressione dovuta all’orientamento politico, la famiglia non ha avuto altra scelta che fuggire.
“Ci mettevano i bastoni tra le ruote di continuo,” afferma Carolina. “Non potevamo più sopportare di vedere nostra figlia in quelle condizioni.”
Dopo la fuga dal Venezuela, la famiglia ha cercato rifugio in Ecuador.
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Storie come quella di Adrianna e Carolina sono purtroppo molto comuni tra gli oltre 4 milioni di venezuelani in fuga dal proprio paese. Un nuovo report sul monitoraggio della protezione dell’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha evidenziato che oltre il 50% dei rifugiati e migranti venezuelani intervistati è sottoposto a rischi specifici durante il viaggio.
Età, genere, condizioni di salute o altre esigenze rendono i venezuelani in fuga come Adrianna particolarmente vulnerabili e bisognosi di protezione e supporto. Altri hanno invece dovuto compiere scelte drastiche per sopravvivere, fra cui chiedere l’elemosina, mandare i figli a lavorare o prostituirsi.
È stato il caso di Sajary*, 20 anni, una donna transessuale partita dal Venezuela e arrivata in Brasile alla ricerca di medicine per la madre malata. Per raggiungere il Brasile Sajary ha speso quasi tutti i soldi che aveva, ed essendo completamente sola non era in grado di permettersi un posto in cui vivere, né cibo né le cure per la madre. Si è così trovata di fronte a un bivio.
“Non sapevo cosa fare,” ricorda Sajary, arrivata nello stato settentrionale di Roraima, in Brasile, nel febbraio 2018. “Mi è stato detto che la prostituzione poteva essere un modo per sopravvivere. Non l’avevo mai fatto, ma ho pensato che se non l’avessi fatto non avrei avuto niente da mangiare, e avrei dovuto dormire per strada.”
Sajary non riusciva però a sopportare la situazione e ben presto ha lasciato perdere, anche se questo significava dormire su un pezzo di cartone in una piazza di Boa Vista, la capitale dello stato di Roraima. “Mangiavo solo una volta al giorno,” racconta.
Domingo* aveva 72 anni quando è arrivato a Maicao, in Colombia, completamente solo. Bibliotecario di professione, aveva lavorato per 25 anni in una delle università migliori del Venezuela. Ma all’arrivo a Maicao erano passati diverse settimane dall’ultima volta che Domingo era riuscito a fare un pasto come si deve, e nella sua mente cominciava a farsi strada l’idea di smettere di lottare per sopravvivere.
“Spesso mi sento inutile,” afferma. “Sento che potrei essere ancora produttivo ma sono solo, non ho nulla e nessuno vuole dare lavoro o affittare una casa a una persona della mia età.”
“L’accesso all’impiego, a un alloggio e ai documenti è una delle priorità per rifugiati e migranti provenienti dal Venezuela, come evidenziato dal rapporto sul monitoraggio della protezione,” ha dichiarato Renata Dubini, Direttrice dell’Ufficio per le Americhe dell’UNHCR.
“Il rapporto sottolinea inoltre la difficoltà per rifugiati e migranti venezuelani di vedere rispettati i loro diritti umani di base. Nonostante la solidarietà dimostrata e gli sforzi prodigati dai principali paesi della regione, solo un maggiore sostegno da parte della comunità internazionale può rafforzare la risposta volta a soddisfare i bisogni delle persone più vulnerabili,” ha aggiunto.
Benché i paesi ospitanti abbiano dato prova di grande generosità aprendo le loro porte a rifugiati e migranti venezuelani, spesso hanno limitate capacità di assistenza, specialmente per le persone con necessità particolari come Domingo e Adrianna. I paesi ospitanti cercano inoltre di fare in modo che i venezuelani non siano costretti a fare ricorso a comportamenti rischiosi, come nel caso di Sajary.
Dopo aver trascorso una settimana per strada a Boa Vista, Sajary è stata avvicinata da un membro dello staff dell’UNHCR che le ha trovato posto in un alloggio temporaneo. Tre mesi più tardi la giovane è stata coinvolta in un programma di reinsediamento del governo brasiliano, sostenuto dall’UNHCR e da altre agenzie dell’ONU; grazie a questo programma, i venezuelani vengono trasferiti da Boa Vista ad altre città brasiliane con migliori prospettive di lavoro e integrazione.
Sajary è stata trasferita nella città di Manaus, in Amazzonia, nel primo centro brasiliano dedicato a rifugiati LGBTI, dove ha trovato un partner e un posto che considera ormai la sua casa, mentre continua a cercare lavoro.
Quanto ad Adrianna, in Ecuador ha accesso ai programmi TV e alla musica di cui ha bisogno per rilassarsi. Non si ferisce più, e i suoi capelli hanno cominciato a ricrescere. Si è inoltre iscritta a un corso settimanale di danza, che la aiuta a ritrovare un po’ di pace. La famiglia non ha però ancora trovato una scuola che possa fornirle l’assistenza specifica di cui ha bisogno.
Domingo è invece in un alloggio temporaneo vicino alla regione della Guajira, nel nord della Colombia, dove cerca di fare programmi per il futuro.
L’UNHCR sostiene gli sforzi dei paesi latinoamericani volti ad armonizzare le proprie politiche e prassi, a coordinare la risposta umanitaria e a migliorare l’accesso a servizi e diritti per rifugiati e migranti venezuelani.
Il rapporto sul monitoraggio della protezione si basa su un sondaggio che ha coinvolto circa 8.000 famiglie venezuelane in fuga, intervistate in 8 paesi dell’America Latina e dei Caraibi tra gennaio e giugno 2019.
Oltre a fornire dati fondamentali relativi alla popolazione venezuelana e alle sue necessità, il sondaggio ha già determinato l’adozione di misure concrete permettendo di inviare oltre 1.500 persone a servizi di consulenza o di altro tipo.
*I cognomi sono stati omessi per proteggere le persone coinvolte.
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