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LA STORIA DI FAIRUZ

18 Dic 2015

Fairuz e sua moglie Hannah non riescono a smettere di piangere. Piangono per lo Yemen, il loro paese spezzato, ma soprattutto per la loro famiglia divisa.
Con gli occhi arrossati, Fairuz racconta di come il figlio Adeeb, di 27 anni, durante un duro attacco fosse troppo terrorizzato dai proiettili dei cecchini e dai raid aerei per correre con loro fino al porto e cercare di salvarsi, imbarcandosi su un peschereccio o una petroliera.
Fairuz e Hannah non hanno avuto scelta: hanno lasciato indietro Adeeb, nel tentativo di salvare le vite degli altri figli.
“I bombardamenti possono instillare la paura anche nei più coraggiosi”.
Quando il conflitto in Yemen si è intensificato, a fine marzo, Fairuz ha pagato 1300 dollari per far imbarcare il resto della famiglia su una piccola barca, e poi su una nave più grande, per raggiungere Djibouti.
Ora alloggiano in uno stadio a Obock, una città portuale di circa 8000 abitanti, che ospita temporaneamente i rifugiati.
“Era meglio salvare cinque vite…” dice Fairuz, con gli occhi pieni di lacrime mentre racconta dello straziante calcolo che li ha portati a lasciare il figlio a casa. Quando l’attacco è cominciato erano a casa di un vicino. Fairuz ricorda di aver gridato ad Adeeb, pregandolo di di correre.
“Sono preoccupato per mio figlio, da solo laggiù, spaventato dai proiettili. Sentivamo il rumore dei combattimenti tutto il giorno e tutta la notte. Non si può descrivere quanto sia forte il suono delle bombe e dei missili”.
Il loro quartiere ad Aden è finito nel fuoco incrociato di miliziani ribelli e forze pro-governative, ed è stato anche bombardato.
Il figlio minore Anis, di 24 anni, si dispera pensando alle scarse possibilità del fratello di scappare da quell’inferno.
“I ribelli Houthi stanno prendeno di mira i giovani e gli sparano alla testa”, dice Anis. “Ho visto con i miei occhi i cecchini sparare e ammazzare le persone. Quando sono uscito, ho visto la gente cadere a terra morta”.
Anis dice di aver visto due vicini di casa colpiti a morte dai cecchini mentre cercavano di attraversare la strada per andare a fare la spesa. “Le persone non escono fuori, restano chiusi in casa finhcè non è la fame a spingerli fuori. Non c’è niente da mangiare”.
I ribelli arrestano le persone che cercano di lasciare la città. “Li arrestano, o gli sparano”. Pensando al suo futuro, l’unica parola che affiora alla mente di Anis è “paura”.
Per suo padre Fairuz, la paura più grande è tornare in Yemen, dove “non c’è rispetto per la vita umana”.
“Morirò qui, o andrò in Europa”, dice Fairuz, che si immagina di poter morire a causa di un problema di cuore, a causa delle dure condizioni di vita degli accampamenti nel deserto, o nelle acque del Mar Mediterraneo, in cui sono già annegate migliaia di rifugiati e migranti.
Mentre suo marito parla, Hannah guarda verso il basso e si asciuga le lacrime con lo scialle.
“È come se fossi morto, non ho più la mia vita in Yemen” racconta Fairuz tra pesanti singhiozzi.
“Sappiamo che in Europa vengono accolte anche famiglie musulmane… vengono accolte le persone con il cuore spezzato”.

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