Stateless, una nuova serie drammatica co-creata e prodotta dall’attrice, regista e Ambasciatrice di Buona Volontà dell’UNHCR, esplora cosa significa perdere la propria casa, il proprio paese e la propria identità.
Una nuova miniserie Netflix, in uscita l’8 luglio, drammatizza il significato dell’essere costretti a fuggire e spogliati della propria identità.
“Stateless” è stata co-creata e prodotta da Cate Blanchett. L’attrice e regista è stata ispirata e spinta dal suo lavoro e dalle sue esperienze come Ambasciatrice di Buona Volontà dell’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, a far luce su ciò che può significare la perdita di identità.
Il dramma si concentra su quattro sconosciuti le cui vite si scontrano in un centro di detenzione per migranti nel deserto australiano. La storia centrale è ispirata al caso reale di un cittadino australiano detenuto illegalmente nel 2004.
La serie intreccia storie personali, rivelando un sistema alle prese con le inconciliabili contraddizioni della protezione delle frontiere. La perdita di identità e dignità è un tema chiave e le crisi personali che i personaggi affrontano sono accentuate dalla detenzione.
Blanchett ha detto: “La mia speranza è che Stateless, un progetto che in realtà è cresciuto separatamente dal mio lavoro con l’UNHCR ma che unisce per me due mondi, costruisca empatia e comprensione per i rifugiati, in particolare per coloro che sono stati e sono ancora in detenzione”.
“Viviamo in un mondo in cui circa l’un per cento di tutta l’umanità è stato costretto a fuggire a causa di conflitti o persecuzioni. Con Stateless spero di spingere le persone a ripensare a come loro e noi tutti stiamo rispondendo all’attuale crisi di rifugiati. A capire cosa significa perdere la propria casa, il proprio Paese, la propria identità. Spero di far sì che le persone empatizzino e facciano domande”, ha detto.
La serie usa il termine apolidi in senso poetico per affrontare la perdita di identità personale piuttosto che in senso legale.
Ma l’apolidia è una questione che preoccupa Blanchett e che fa parte del mandato unico dell’UNHCR come Agenzia delle Nazioni Unite.
Secondo il diritto internazionale, l’apolidia si riferisce ai milioni di persone in tutto il mondo che non sono riconosciuti come cittadini da nessun paese. Questo ha conseguenze devastanti sulla loro capacità di esercitare i loro diritti umani e di partecipare alla vita normale delle società in cui vivono.
L’UNHCR sta lavorando per porre fine all’apolidia entro il 2024 attraverso la sua Campagna #IBelong.
In un breve intervento sui social media per l’UNHCR sull’apolidia, Blanchett ha detto: “La maggior parte delle persone sono cittadini di qualche luogo. Abbiamo certificati di nascita, abbiamo passaporti, carte d’identità. Ma sulla carta, gli apolidi non esistono. Senza passaporto o carta d’identità, l’elenco delle cose che le persone non possono fare non finisce mai: andare a scuola, vedere un medico, possedere una carta SIM, lavorare legalmente, aprire un conto in banca, viaggiare, possedere una casa o anche sposarsi legalmente. L’apolidia esiste ovunque. Succede in paesi come il tuo o il mio”.
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