La carenza di alloggi dignitosi e a prezzi accessibili in Afghanistan è una delle maggiori sfide per milioni di sfollati interni e di rifugiati che fanno ritorno a casa. Un nuovo progetto offre una soluzione.
Mohammad Daud e la sua famiglia sono fuggiti dai combattimenti e dall’insicurezza nella loro regione e sono arrivati nella provincia di Kandahar, nel sud dell’Afghanistan, più di otto anni fa. Ma fino a poco tempo fa, non avevano ancora un tetto sicuro sopra le loro teste.
“Siamo passati da un rudere a un altro. Questa era la nostra vita – ci spostavamo da un posto all’altro”, ha ricordato Mohammad, 65 anni, la cui famiglia di 15 persone comprende sua moglie, quattro figli e quattro nipoti. La loro ultima casa era così vicina al crollo che ha dovuto avvertire i bambini di non sedersi troppo vicino ai muri diroccati.
Lo stato della casa non ha impedito al proprietario di raddoppiare l’affitto e di minacciare lo sfratto della famiglia quando non potevano pagare.
L’esperienza di Mohammad è fin troppo comune in Afghanistan, dove più di 440.000 persone sono state costrette a fuggire a causa del conflitto nel solo 2019, oltre a centinaia di migliaia di persone cacciate dalle loro case a causa di disastri naturali.
Alcuni sono in grado di trasferirsi con i parenti, ma la maggior parte si accontenta di rifugi o tende sgangherate in insediamenti informali o di alloggi in affitto angusti e troppo costosi, spesso privi di acqua corrente e servizi igienici. Le condizioni sono particolarmente difficili durante le estati torride e gli inverni gelidi dell’Afghanistan. In tutto il Paese, gli sfollati afghani segnalano la necessità di un rifugio come una delle loro maggiori priorità, seconda solo al cibo.
Lo stesso vale per i quasi sei milioni di ex rifugiati che sono tornati in Afghanistan negli ultimi due decenni. Sardar Bibi e la sua famiglia hanno vissuto come rifugiati nel vicino Pakistan per diversi decenni prima di ritornare in Afghanistan tre anni fa.
Sono arrivati a Kandahar senza niente, ha detto Sardar Bibi, “senza lavoro, senza terra, senza cibo e senza proprietà”. La sua famiglia di 12 persone, così come quella di nove persone della figlia, viveva in una stanza singola. “La vita era dura allora”, ha detto. “Eravamo in pessime condizioni”.
La vita è stata un po’ più facile per entrambe le famiglie da quando hanno ricevuto aiuto economico in contanti dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, per costruire le loro case. Il progetto Cash for Shelter, che a partire dall’anno scorso ha aiutato 600 famiglie di sfollati interni e rimpatriati vulnerabili, fornisce alle famiglie una sovvenzione in contanti di 3.300 dollari e l’assistenza tecnica per la costruzione di un rifugio con due stanze da letto che include un bagno. Il denaro viene fornito in tre rate man mano che la costruzione procede.
Entrambe le famiglie hanno usato parte del denaro per assumere lavoratori edili locali. Con l’aiuto dei membri della famiglia, le loro case sono state costruite in tre mesi. I figli di Mohammad hanno acquisito competenze edilizie che hanno utilizzato per costruire una stanza in più, una cucina e un muro perimetrale.
Di fronte alla minaccia di sfratto, Mohammad e la sua famiglia si sono trasferiti nella loro nuova casa prima ancora che fosse completata. “Le pareti erano ancora bagnate quando abbiamo iniziato a vivere in casa”, ha detto. “Abbiamo coperto il pavimento di una stanza con un telo di plastica… le stanze erano senza finestre”.
Anche Sardar Bibi e la sua famiglia si sono trasferiti nella nuova casa prima che fosse finita. “Quando siamo arrivati nella nuova casa, ci siamo sentiti a nostro agio”, ha detto. “C’è abbastanza spazio per tutti”.
Non molto tempo dopo che entrambe le famiglie si erano sistemate nelle loro nuove case, la pandemia da coronavirus ha portato nuove difficoltà. I due figli di Mohammad, che mantenevano la famiglia come lavoratori giornalieri (guadagnando 3 dollari al giorno), non sono stati in grado di lavorare nelle ultime sei settimane a causa delle misure di isolamento, e la famiglia ha dovuto prendere in prestito del denaro per tirare avanti. L’impatto del COVID-19 ha anche fatto salire i prezzi degli alimenti di base.
“I prezzi sono più alti”, ha detto Sardar Bibi. “Non possiamo permetterci niente, nemmeno la cena”.
La diffusione del coronavirus in Afghanistan ha amplificato la necessità per le persone di avere rifugi con spazi adeguati, acqua corrente e servizi igienici. Il progetto Cash for Shelter sta fornendo questi benefici, mentre la componente in contanti ha aiutato le famiglie a far fronte alle conseguenze finanziarie dell’isolamento.
Il coronavirus è solo l’ultima difficoltà che gli afghani hanno affrontato in 40 anni di conflitti, sfollamenti, instabilità politica e disastri naturali. Mentre la crisi di rifugiati dell’Afghanistan entra nel suo quinto decennio, l’UNHCR chiede investimenti mirati, sia all’interno dell’Afghanistan, sia in Iran e Pakistan, che ospitano oltre 2,3 milioni di rifugiati afghani. Il costo dell’inazione, avverte l’UNHCR, potrebbe essere rappresentato da ulteriori esodi, dalla continua sofferenza e instabilità, e dall’aggravarsi della crisi socio-economica sulla scia della pandemia COVID-19.
In un incontro virtuale ad alto livello che si terrà lunedì 6 luglio, l’UNHCR cercherà di sostenere progetti umanitari e di sviluppo critici in Afghanistan, Iran e Pakistan, anche in materia di alloggi, istruzione, salute, mezzi di sussistenza, e di sostenere il ritorno e la reintegrazione dei rifugiati. I progetti rientrano nella Solutions Strategy for Afghan Refugees, un’iniziativa regionale lanciata nel 2012.
“Per quanto riguarda i rifugi ci sentiamo a nostro agio ora”, ha detto Mohammad. “Ma viviamo in povertà”.
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