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Una nuova speranza per i richiedenti asilo evacuati dalla Libia in Ruanda

Mentre i voli di evacuazione per il Ruanda riprendono dopo quasi un anno di pausa a causa del COVID-19, i richiedenti asilo vulnerabili si lasciano alle spalle le loro sofferenze in Libia.

Di Caroline Gluck a Tripoli, Libia  |  20 Nov 2020

Il richiedente asilo somalo Fawaz, 21 anni, si prepara a prendere un volo di evacuazione umanitaria dalla Libia verso il Ruanda, con la sua compagna Farah, 24 anni, e il figlio di quattro mesi, Adnan. © UNHCR/Caroline Gluck

Avvolta in un velo bianco e tenendo vicino il figlio di sei anni, la richiedente asilo eritrea Tsega aspetta di imbarcarsi su un volo in partenza dalla Libia per mettersi in salvo dopo un calvario durato tre anni e mezzo, durante il quale è stata tenuta prigioniera dai trafficanti e separata dal marito, prima di passare più di due anni in un centro di detenzione nella capitale Tripoli.


Tsega, 28 anni, e suo figlio sono stati finalmente rilasciati appena una settimana fa e fanno parte di un gruppo di 79 richiedenti asilo che giovedì sono stati evacuati in Ruanda dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati. I voli di evacuazione attraverso il Meccanismo di transito d’emergenza in Ruanda sono rimasti in pausa per quasi un anno a causa della chiusura delle frontiere e delle restrizioni agli spostamenti dovute al COVID-19.

Mentre aspettava nel centro di registrazione dell’UNHCR a Tripoli, dove le persone evacuate hanno ricevuto documenti, borse e snack prima di salire sugli autobus per l’aeroporto, Tsega ha permesso a sè stessa di credere che l’orrore degli ultimi anni fosse finalmente alle spalle.

Libia. L'UNHCR riprende i voli di evacuazione verso il Ruanda dopo le restrizioni dovute al COVID-19

Tsega, richiedente asilo eritrea, 28 anni, e suo figlio Essey, sei anni, si preparano a prendere un volo di evacuazione umanitaria dalla Libia. © UNHCR/Caroline Gluck

Libia. L'UNHCR riprende i voli di evacuazione verso il Ruanda dopo le restrizioni dovute al COVID-19

Il richiedente asilo somalo Fawaz, 21 anni, si prepara a prendere un volo di evacuazione umanitaria dalla Libia verso il Ruanda, con la sua compagna Farah, 24 anni, e il figlio di quattro mesi, Adnan. © UNHCR/Caroline Gluck

Libia. L'UNHCR riprende i voli di evacuazione verso il Ruanda dopo le restrizioni dovute al COVID-19

Un gruppo di richiedenti asilo sale su un autobus che li porta all'aeroporto internazionale di Tripoli per un volo di evacuazione umanitaria in Ruanda. © UNHCR/Mohamed Alalem

“Grazie a Dio quello che è successo in passato è finito. Le cose sono state molto difficili, ho affrontato molti problemi, e sono molto felice di essere arrivata fin qui dopo tutto questo”, ha detto Tsega.

“La vita in Libia è molto dura, e non è facile per persone come noi sopravvivere”.

Dopo la separazione dal marito, lui è riuscito a fuggire dai trafficanti che li tenevano prigionieri prima di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa e arrivare in Belgio, dove Tsega spera di ricongiungersi a lui un giorno insieme a loro figlio.

“Vorrei potermi ricongiungere in futuro con mio marito e avere una vita tranquilla, una vita migliore per nostro figlio e un futuro migliore”, ha detto Tsega. “Vorrei che i governi di tutto il mondo potessero aiutare le persone che soffrono qui. La vita in Libia è molto difficile, ci rapiscono, ci vendono e altri ci comprano; non ci sentiamo completamente al sicuro perché non sappiamo cosa potremmo affrontare in qualsiasi momento mentre siamo qui”.

Il gruppo di evacuati che ha lasciato la Libia giovedì scorso comprendeva uomini, donne e bambini provenienti dall’Eritrea, dal Sudan e dalla Somalia, molti dei quali erano stati detenuti in precedenza e alcuni – come Tsega – per anni.

All’arrivo in Ruanda, sono stati portati in una struttura di transito a Gashora, a circa 60 chilometri a sud della capitale Kigali, dove l’UNHCR fornisce assistenza, tra cui alloggio, cibo, acqua, cure mediche, supporto psico-sociale e corsi di lingua.

Il gruppo vi rimarrà mentre si cercano soluzioni per loro, come il reinsediamento, il ritorno volontario nei Paesi di precedente asilo o nei Paesi di origine, dove è sicuro farlo, o l’integrazione con le comunità locali ruandesi.

Mentre l’UNHCR accoglie con favore la ripresa dei voli di evacuazione salvavita per le persone intrappolate in Libia, il numero di posti disponibili rimane insufficiente. L’UNHCR ha invitato un maggior numero di Paesi a partecipare e ad offrire un maggior numero di posti per i richiedenti asilo più vulnerabili.

“Questi voli di evacuazione sono un’ancora di salvezza vitale per i rifugiati e i richiedenti asilo intrappolati in Libia”, ha detto il portavoce dell’UNHCR Babar Baloch in un briefing a Ginevra venerdì. “In assenza di vie legali, persone disperate continuano a intraprendere pericolosi viaggi via mare, portando alla tragica perdita di vite umane”.

Senza un aumento delle vie regolari verso la sicurezza, oltre 45.200 rifugiati e richiedenti asilo attualmente registrati presso l’UNHCR in Libia potrebbero rischiare pericolosi viaggi via mare, in cui 114 rifugiati e migranti hanno perso la vita solo nell’ultima settimana.

“Abbiamo sofferto molto. Siamo stati picchiati e torturati. Ti rapiscono e ti vendono”.

Un’altra persona a bordo del volo di evacuazione di giovedì era Fawaz, 21 anni, richiedente asilo somalo, arrivato in Libia a soli 11 anni. È fuggito dai trafficanti che lo tenevano in ostaggio per il riscatto. In seguito, ha tentato senza successo la traversata verso l’Europa, dopo di che è stato trattenuto nel centro di detenzione di Tajoura fino a quando non è stato bombardato l’anno scorso durante il conflitto a Tripoli.

Durante la sua traversata fallita, Fawaz ha incontrato la moglie Farah, e la coppia ha ora un figlio di quattro mesi. Fawaz ha detto che spera che la loro evacuazione avrebbe segnato un cambiamento della loro fortuna, e che loro figlio Adnan avrebbe avuto le opportunità che lui non aveva avuto.

“Negli ultimi 10 anni abbiamo sofferto, ma speriamo che, dopo la sofferenza, ora avremo sollievo”, ha detto Fawaz. “Abbiamo sofferto molto. Siamo stati picchiati e torturati. Ti rapiscono, ti portano in un posto e poi in un altro, e ti vendono da una persona all’altra”.

“Non ho avuto un’istruzione adeguata, ma spero che i miei figli abbiano un futuro migliore e ricevano un’istruzione”.

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