Di Francesca Romana Genoviva

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L’ultimo naufragio è dell’inizio del mese; ma ogni giorno gli uomini dell’operazione EUNAVforMed intercettano imbarcazioni alla deriva nel Mediterraneo, cariche di decine di migranti così disperati da affrontare i rischiosissimi viaggi in mare.

Se le partenze non possono essere fermate (nemmeno erigendo barriere fisiche sui confini), gli stati e le organizzazioni non governative possono provare a creare una via di accesso diversa ai loro territori. Vanno in questa direzione sia il programma di reinsediamenti attuato a livello internazionale sotto la supervisione dell’Unhcr che il progetto dei corridoi umanitari in Italia.

Nel rapporto “Projected Global Resettlement Needs 2017“, l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati dà conto dei progressi fatti in questa direzione. Negli ultimi dieci anni, l’Unhcr ha presentato richiesta di resettlement per più di un milione di persone.

 

Reinsediamento, o resettlement: di cosa si tratta?

Prima di analizzare più diffusamente il apporto, è utile un chiarimento preliminare su cosa sia il reinsediamento. Si tratta di uno strumento di protezione internazionale destinato ai rifugiati che non possono tornare nel loro paese, anche se hanno cercato accoglienza in un altro stato, dove però la loro integrazione o la loro sicurezza siano a rischio. Queste persone possono essere trasferite in altro stato, che aderisce volontariamente al programma di reinsediamenti e mette a disposizione una certa quota di posti per l’accoglienza.

Quello dei reinsediamenti è un canale di immigrazione regolare e sicuro: infatti da un lato può ridurre il traffico di esseri umani in fuga dalle zone di guerra, dall’altro sono gli stessi stati a stabilire quanti rifugiati accogliere e a controllare il possesso dei requisiti per l’ingresso legale sul loro territorio.

 

Un po’ di numeri

In base al rapporto, nel 2015 le richieste di reinsediamento sono state, in aumento rispetto alle 103mila del 2014. Nel 2016 l’Unhcr prevede di presentare 143mila domande e 170mila nell’anno successivo: secondo le previsioni, in gran parte (circa il 40%) saranno rifugiati siriani. Già l’anno scorso due richieste ogni cinque si riferivano a cittadini siriani.

Il programma di reinsediamenti, comunque, non riguarda solo l’Europa o le recenti migrazioni dal Medio Oriente, ma coinvolge Stati e organizzazione in tutto il mondo. Un primo dato in questo senso viene dalla distribuzione dei reinsediamenti realizzati nel 2015: gli Stati Uniti hanno accettato 82.491 richieste (il 61,5% del totale), seguiti da Canada (22.886), Australia (9.321), Norvegia e Regno Unito.

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La provenienza delle domande di reinsediamento nel 2015 rispecchia lo stato dei principali conflitti in corso: al primo posto per numero di domande ci sono i siriani (53.305), seguiti da congolesi (20.527) e iracheni (11,161). Sono invece 10.193 le richieste dalla Somalia e 9.738 quelle dalla Birmania.

Il luogo di partenza, comunque, spesso non corrisponde alla cittadinanza: molte domande provengono da persone che hanno già ottenuto asilo all’estero, in campi profughi dove però non sono loro assicurate sicurezza e protezione legale. Nella classifica della provenienza delle richieste, ai primi posti ci sono Giordania, Libano, Turchia e Kenya, che accolgono decine di migliaia di rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa Sub-sahariana. Tra le situazioni maggiormente a rischio c’è proprio lo stato di Ankara, che nell’ultimo anno è passato da un milione a 2,5 milioni di rifugiati siriani (e 250mila provenienti da altre nazioni, come l’Iraq) e da cui sono partite oltre 18mila richieste di reinsediamento a livello globale.

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A livello globale, la zona più calda per richieste di reinsediamenti resta il Mena (Middle-East and North Africa), con 53.331 richieste, in aumento del 130% sul 2014. Questa straordinaria crescita è dovuta in larga parte alla crisi umanitaria in Siria (quasi 49mila richieste nel 2015 erano relative a cittadini siriani), e ha indotto alcune nazioni (Usa, Canada, Australia e Uk) ad aumentare l’offerta di posti e implementare procedure semplificate per l’accoglienza dei profughi di Damasco. Di fronte a questa emergenza, che non sembra destinata a risolversi nel breve periodo, l’Unhcr ha chiesto ai Paesi aderenti al programma di resettlement di fare un ulteriore sforzo di solidarietà, per accogliere un decimo della popolazione siriana sfollata (circa 4,8 milioni di persone) entro il 2018.

Un trend di aumento si registra anche dall’Africa (38.870 richieste, rispetto alle 35.079 dell’anno precedente), in cui, sottolinea l’Unhcr, la gran parte dei richiedenti è nella condizione di rifugiato da più di vent’anni; in calo, invece, le domande provenienti dalla regione Asia e Pacifico (21.620) e dalle Americhe (1.390), grazie all’appianarsi di alcune situazioni di conflitto o ai maggiori sforzi per un’accoglienza dignitosa dei rifugiati.

Quanto ai motivi, circa un terzo (34,3%) dei rifugiati inseriti nel programma dell’Unhcr necessita di protezione fisica o legale, che non è garantita nel paese in cui si trova; al secondo posto ci sono le pratiche per quanti sono sopravvissuti a violenza o torture (23,9%), seguiti da coloro per i quali non si intravedono altre soluzioni durature (22,2%) e dalle donne e ragazze a rischio di sfruttamento (11,8%).

 

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Reinsediamenti in Europa

In base al rapporto “Projected Global Resettlement Needs 2017”, il numero delle richieste di reinsediamento dall’Europa è passato da 16.392 nel 2014 a 18.833 nel 2015. Questo dipende in larga parte dall’aumento delle domande provenienti dalla Turchia. Ma non solo: tra le criticità della zona c’è anche il conflitto in Ucraina, che ha determinato circa 300mila rifugiati. Nonostante l’Europa sia sostanzialmente in pace, alcuni Paesi dell’area orientale presentano un sistema di asilo debole, per cui i profughi sono esposti ad azioni xenofobe e razziste che mettono a rischio l’integrità fisica dei richiedenti asilo.

Com’è noto, l’Europa è stata interessata negli ultimi anni da crescenti flussi migratori: l’Isis e i conflitti in Medio Oriente e Africa centrale hanno portato alla creazione di gigantesche tendopoli di rifugiati dal Kenya alla Turchia, e hanno spinto più di un milione di persone a cercare la via del mare per raggiungere i porti della Grecia e dell’Italia. L’avidità dei trafficanti e le imbarcazioni fatiscenti hanno determinato la morte di migliaia di persone: 3777 nel 2015, già 1261 quest’anno.

Sulla scia della commozione determinata dai naufragi, la Germania ha aperto le proprie frontiere ai rifugiati siriani, mentre la Commissione Europea ha proposto agli stati membri di adottare un programma di reinsediamenti per 20mila rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa (maggio 2015). A luglio il Consiglio Ue ha stabilito di accogliere 22504 rifugiati, suddividendoli tra 32 Stati (28 membri Ue più Liechtenstein, Islanda, Norvegia e Svizzera) secondo un criterio di proporzionalità (i parametri principali sono il Pil e la dimensione della popolazione). L’Italia si è impegnata ad accogliere 1989 rifugiati entro dicembre 2017 (il 9,94% del totale).

Ad oggi, secondo i dati Unhcr a cui Carta di Roma ha accesso, le persone arrivate in Italia tramite il programma di reinsediamento sono 419.

Italia: i corridoi umanitari

Il programma di reinsediamenti assicura ai rifugiati l’ingresso legale in un Paese in cui saranno al sicuro, e che garantirà loro diritti civili e sociali. Ma si tratta di un canale che, per ora, coinvolge poche migliaia di persone. La difficoltà maggiore è nella selezione dei rifugiati da destinare al programma, individuati tra le centinaia che risiedono nei campi profughi, oltre che nel convincere gli stati ad assumere l’impegno, non solo economico, dell’accoglienza.

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Così in Italia l’accoglienza dei rifugiati è stata presa in carico anche dalla società civile –  in particolare dalla Federazione delle Chiese Evangeliche (Fcei) in Italia e la Comunità di Sant’Egidio – che, scavando nella complessa normativa europea, hanno intravisto la possibilità di creare un ulteriore canale di accesso legale per i rifugiati. Nasce da qui il progetto pilota dei corridoi umanitari: nel protocollo d’intesa siglato con il ministero degli Esteri e il Viminale, le associazioni si sono impegnate ad accogliere 1000 persone entro due anni. Le persone selezionate sono finora partite dal Libano e in futuro partiranno anche da  Marocco e Etiopia (così da intercettare i grandi flussi migratori legati alle guerre nel Medio Oriente e nell’Africa Sub-sahariana, prima che prendano la via del mare).

L’iniziativa ha ottenuto il plauso del Pontefice; proprio Papa Bergoglio quando ha portato a Roma da Lesbo 12 richiedenti asilo ha affidato la loro accoglienza alla Comunità Sant’Egidio.

Al momento le persone giunte in Italia attraverso questi corridoi sono 279, in maggioranza rifugiati siriani. Come quello dell’Unhcr, anche questo progetto costituisce un canale protetto per i rifugiati e in linea con le esigenze di sicurezza del governo: i potenziali destinatari del programma di aiuto sono pre-selezionati dalle organizzazioni non governative, poi controllati dal Viminale e infine ricevono un visto umanitario a validità territoriale limitata.

Il progetto pilota è gratuito per lo stato: sono le associazioni a farsi carico del viaggio e a pagare le spese per l’accoglienza. Finora per il progetto è stato stanziato 1 milione di euro, proveniente in gran parte dai fondi dell’8 per mille della Chiesa Valdese.

Un modello da esportare

Il progetto dei corridoi umanitari propone un modello di solidarietà che si può riprodurre anche in altri stati, come ha spiegato Vittorio Zucconi, segretario generale della Comunità Sant’Egidio, in un recente incontro con gli ambasciatori delle Nazioni Unite. Si è già registrata l’adesione al programma di San Marino, e ora, segnala Zucconi, “arrivano segnali positivi anche dalla Polonia”, mentre “la Conferenza Episcopale Italiana sta negoziando con il governo”. L’importanza dell’iniziativa è stata riconosciuta dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni (“I corridoi umanitari sono un messaggio all’Europa per ricordare che alzare muri non è la soluzione”) e più recentemente dal suo vice, Mario Giro (“Coinvolgere la società civile è cruciale”).

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Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha elogiato il progetto: “La creazione dei corridoi umanitari colloca l’Italia all’avanguardia della solidarietà, e rappresenta un momento di realizzazione concreta dei principi della Costituzione”.

Mille persone in due anni sono una piccola comunità. Ma, come sottolinea lo slogan del progetto, con piccole gocce si può cambiare il mare.