Humanitarians at work: Dietro le quinte. Aiutare i rifugiati a tornare a casa in sicurezza
Humanitarians at work: Dietro le quinte. Aiutare i rifugiati a tornare a casa in sicurezza
Il nostro collega Mohammad Pervez Jalili, Associate Reintegration Officer all’UNHCR in Afghanistan, aiuta le persone rifugiate che scelgono di tornare nel loro Paese di origine ad accedere al sostegno necessario per ricostruire la propria vita con dignità. In questa edizione di Humanitarians at Work, ci racconta come tutto questo sia possibile lavorando a stretto contatto con i partner locali.
Chi sono i rimpatriati? I rimpatriati sono persone che in passato erano rifugiate o sfollate all’interno del loro Paese e che ora sono tornate a casa per ricostruire la loro vita.
Q&A: Mohammed Pervez Jalili - Associate Reintegration Officer all’UNHCR Afghanistan
Perché hai deciso di diventare un operatore umanitario?
Sono nato in Pakistan come rifugiato, dopo che i miei genitori erano fuggiti dalla guerra civile in Afghanistan. Per quasi vent’anni il Pakistan è stata l’unica casa che conoscessi, ma la mia vita era segnata da barriere invisibili. Da bambino non mi rendevo conto di essere rifugiato. Sapevo soltanto che venivo escluso da eventi scolastici e da altre opportunità, senza capirne il motivo. Mi dicevano: “Sei un rifugiato. Non hai i documenti giusti.”
Quella frase mi è rimasta dentro. Non riguardava soltanto l’essere escluso, era anche una questione di identità, appartenenza, dignità. Quando sono tornato in Afghanistan dopo aver completato la scuola, ho portato con me quei ricordi: la frustrazione di non avere gli stessi diritti degli altri e l’incertezza sul futuro.
Decisi che avrei fatto tutto il possibile per migliorare le condizioni delle persone rifugiate. Così ho iniziato lavorando come volontario con l’UNHCR, aiutando gli altri come avrei voluto essere aiutato io. Oggi sono orgoglioso di accompagnare i rifugiati che tornano a casa nel loro percorso di reintegrazione, avendo io stesso affrontato molte delle sfide che loro vivono ogni giorno.
Com'è una tua giornata tipo?
Il mio ruolo consiste nell’aiutare le persone che sono state costrette a fuggire a reinserirsi nelle loro comunità, una volta tornate. Posso occuparmi di progetti che riguardano l’accesso alla sanità, all’istruzione, a mezzi di sussistenza, abitazioni, infrastrutture, energie rinnovabili, acqua e servizi igienici – sempre con l’obiettivo di garantire una reintegrazione sostenibile.
Collaboro anche con altre agenzie delle Nazioni Unite, e partecipo attivamente al gruppo di lavoro sulle soluzioni durevoli, che coordina e promuove risposte di lungo periodo ai processi di sfollamento e rimpatrio.
Infine, monitoro il processo di reintegrazione: visito comunità, parlo con le persone, raccolgo dati sulle condizioni di vita, sulla situazione economica e su altri bisogni. Queste informazioni ci aiutano a stabilire le priorità e a utilizzare al meglio le risorse. Ovviamente, particolare attenzione è rivolta a donne e ragazze vulnerabili affinché ricevano il sostegno di cui hanno bisogno.
Cosa rende il lavoro umanitario davvero efficace?
Un intervento umanitario efficace è fondato sulla comprensione dei bisogni delle persone sul campo. Non nasce da supposizioni, né da istruzioni dall’alto: è necessario ascoltare attentamente i bisogni delle comunità, dall’assistenza immediata a quella di medio e lungo termine. È così che si evita il fenomeno degli “sfollamenti ripetuti”, quando chi torna a casa trova condizioni invivibili ed è costretto a partire di nuovo, spesso anche oltre confine.
Un altro aspetto fondamentale è il coinvolgimento delle organizzazioni locali, come ONG e gruppi comunitari, che conoscono il contesto, parlano la lingua locale e comprendono le dinamiche culturali e politiche. Spesso sono gli attori più adatti a rispondere rapidamente ed efficacemente.
Le partnership e il coordinamento sono fondamentali: lavorare insieme ad altre organizzazioni, attori dello sviluppo e donatori, ci consente di unire le risorse, evitare sovrapposizioni e rafforzare l’impatto del nostro lavoro. Allo stesso modo, il coinvolgimento e il supporto delle autorità locali sono essenziali per realizzare i progetti in modo efficace.
Infine, all’assistenza salvavita è necessario affiancare interventi che affrontino le cause profonde delle crisi. Unendo l’aiuto immediato a interventi di lungo periodo come infrastrutture, opportunità di lavoro o servizi sociali, sosteniamo le persone nel reinserimento nelle loro comunità, favorendo la stabilità e riducendo il rischio di nuovi sfollamenti
Quali sono le sfide più grandi nel tuo lavoro?
Trovarsi in una delle operazioni umanitarie più grandi e complesse al mondo, come quella in Afghanistan, significa lavorare senza sosta, e durante le emergenze i bisogni che crescono da un giorno all’altro. La vera sfida non è solo il carico di lavoro, ma la capacità di rispondere con rapidità ed efficienza ai casi più urgenti e vulnerabili.
In quei momenti il coordinamento diventa ancora più complesso: molte organizzazioni si muovono contemporaneamente, e trovare una linea comune non è semplice. Eppure, è proprio la diversità di prospettive e competenze che ci permette di raggiungere chi ha più bisogno.
Nonostante la pressione, il lavoro di squadra fa la differenza. Grazie alla dedizione dei colleghi e al sostegno dei nostri superiori, affrontiamo le sfide passo dopo passo, trovando soluzioni pratiche anche quando la strada è in salita.
Quali sono le competenze e le qualità essenziali per avere successo in questo ruolo?
La reintegrazione in Afghanistan è al tempo stesso complessa e cruciale. Qui, il lavoro di UNHCR è diverso da molte altre operazioni, perché il nostro compito è gestire rientri sempre più numerosi e costruire soluzioni sostenibili.
Per riuscirci servono una conoscenza profonda delle politiche e delle linee guida dell’organizzazione, indispensabile nel dialogo con interlocutori esterni. Ci aiuta a gestire situazioni delicate e a capire fin dove ci si può spingere e dove invece certi limiti non vanno superati
La conoscenza del contesto è ugualmente importante: significa comprendere il panorama politico, le sensibilità culturali e le dinamiche sociali che influenzano la natura del nostro lavoro.
Infine, poiché la situazione cambia rapidamente, ogni giorno, flessibilità e resistenza sono competenze essenziali per questo lavoro.
Qual è il consiglio che daresti a chi sta pensando di intraprendere una carriera nel settore umanitario?
Bisogna diventare generalisti. Nel tempo si sviluppano competenze specifiche, ma il lavoro umanitario richiede flessibilità e un’ampia padronanza di molti ambiti, dalla protezione alla programmazione e oltre. Io stesso sono partito come volontario nel settore protezione, poi sono passato ai programmi, e oggi lavoro nella reintegrazione. È possibile ricevere incarichi o ruoli del tutto nuovi, quindi avere una mentalità aperta e una buona conoscenza di base aiuta a adattarsi.
Al di là delle competenze, però, è indispensabile possedere qualità come umanità ed empatia, unite a un autentico desiderio di aiutare le persone che confidano in noi.
È importante anche saper accettare nuove sfide e coltivare fiducia in sé stessi. Questo lavoro può portare in territori sconosciuti, ma credere nella propria capacità di adattarsi e dare un contributo è fondamentale.
Quale impatto hanno avuto i tagli ai finanziamenti umanitari sul tuo lavoro e sulla popolazione in Afghanistan?
Quest’anno, oltre due milioni di persone sono rientrate da Pakistan e Iran. I bisogni sono cresciuti vertiginosamente mentre le risorse diminuivano. L’impatto maggiore è stato sulle comunità che stiamo supportando. Abbiamo dovuto tagliare quasi la metà del personale e chiudere alcuni uffici locali: ciò significa che non possiamo raggiungere tutti coloro che hanno bisogno di aiuto.
I bisogni sono enormi e ogni giorno siamo costretti a fare scelte difficili. Molte famiglie sfollate non ricevono l’assistenza urgente di cui avrebbero bisogno. Stiamo lavorando duramente per cercare nuovi finanziamenti e colmare queste mancanze.
Nonostante tutto, continuiamo a sostenere le persone più vulnerabili al massimo delle nostre possibilità. È doloroso non riuscire a raggiungere tutti, ma questi tagli ai finanziamenti dimostrano quanto sia importante restare uniti e agire insieme per affrontare la crisi.
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Grazie per essere stati con noi!
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UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, è un’organizzazione globale impegnata a salvare vite, proteggere i diritti e costruire un futuro migliore per chi è costretto a fuggire a causa di conflitti e persecuzioni. Insieme ad operatori umanitari in tutto il mondo, lavoriamo affinché’ ogni persona in fuga possa ricostruire il proprio futuro.
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