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In fuga da siccità e conflitti in Somalia verso i campi di Dadaab in Kenya

Circa 45.000 somali sono arrivati a Dadaab nel 2022 e si prevede che ne arriveranno altri nei prossimi mesi, ma le risorse per accoglierli sono limitate.

Di Moulid Hujale a Dadaab, Kenya  |  13 Dic 2022

Dekow Ali, padre di quattro figli dalla Somalia, si accinge a costruire un rifugio per sé e la sua famiglia dopo essere arrivato nel campo di Dagahaley, a Dadaab. © UNHCR/Charity Nzomo

In Somalia, Dekow Derow Ali, padre di quattro figli, faceva affidamento sui suoi raccolti e sul suo bestiame per sostenere la famiglia. Ma tre anni senza pioggia hanno distrutto i suoi mezzi di sostentamento.

“Si piantano i semi, ma non c’è nulla da raccogliere”, ha detto. “Le mie mucche sono morte all’inizio della siccità. Ho perso anche alcune capre”.

Dekow ha venduto le capre rimaste per pagare il trasporto per lui e la sua famiglia per raggiungere i campi rifugiati di Dadaab, in Kenya, dove avrebbero potuto ricevere assistenza.

“Sono venuto senza nulla, tranne i miei figli”, ha detto.

La carestia incombe sulla Somalia, che sta soffrendo la peggiore siccità degli ultimi quarant’anni. L’assenza di piogge negli ultimi due anni, esacerbata dagli effetti del cambiamento climatico, ha provocato livelli di fame senza precedenti e ha costretto quasi un milione di persone a fuggire all’interno del Paese dallo scorso gennaio.

La prolungata siccità, unita al conflitto in corso, ha spinto più di 80.000 somali ad attraversare il confine con Dadaab negli ultimi due anni, di cui circa 45.000 sono arrivati nell’ultimo anno. Con il deteriorarsi della situazione e le previsioni di un’altra stagione delle piogge fallimentare, si prevede che altre famiglie arriveranno nei prossimi mesi.

“Stanno arrivando sempre più persone. Quando siamo arrivati eravamo in tanti, anche ieri sono arrivate altre persone”, ha detto Khadija Ahmed Osman, 36 anni, arrivata a ottobre con i suoi otto figli dopo essere stata costretta a chiudere il piccolo ristorante che possedeva nella città di Salagle, nella regione di Jubba, in Somalia.

“Le attività commerciali hanno chiuso perché la gente è fuggita a causa della siccità e dell’insicurezza”, ha raccontato la donna. “Volevo proteggere i miei ragazzi dal reclutamento da parte di gruppi armati, così ho deciso di venire qui”.

Kenya. Drought response

Khadija, 36 anni, madre di otto figli, è arrivata a Dadaab a ottobre dopo essere stata costretta a chiudere la sua attività in Somalia a causa della siccità. © UNHCR/Charity Nzomo

Kenya. Drought response

Khadija racconta che gli altri rifugiati che già vivono a Dadaab hanno accolto lei e i suoi figli a braccia aperte, ma le risorse sono scarse. © UNHCR/Charity Nzomo

Kenya. Drought response

Dekow Ali è fuggito dalla Somalia con la sua famiglia dopo il cattivo esito dei suoi raccolti e la morte della maggior parte del suo bestiame a causa della siccità. © UNHCR/Charity Nzomo

Kenya. Drought response

Rifugiati somali appena arrivati si mettono in fila per raccogliere acqua da un serbatoio nel campo di Dagahaley a Dadaab, in Kenya. © UNHCR/Charity Nzomo

A Dadaab l’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, sta fornendo alle famiglie appena arrivate assistenza in denaro, acqua potabile e strutture igieniche, oltre a servizi mirati per i più vulnerabili, come i bambini malnutriti.

Ma le risorse sono limitate. La siccità in corso ha avuto un impatto anche sugli oltre 230.000 rifugiati e richiedenti asilo che già vivono nella serie di campi che costituiscono Dadaab, oltre che sulle comunità ospitanti circostanti.

“Per rispondere a questa situazione stiamo utilizzando solo le scarse risorse che abbiamo per i nostri programmi regolari”, ha dichiarato Martha Kow Donkor, responsabile dell’UNHCR per la protezione delle comunità. “I bisogni sono molto elevati e stiamo facendo appello ai donatori affinché forniscano maggiori finanziamenti”.

Dadaab ospita rifugiati somali da oltre 30 anni. Hussein Ibrahim Mohamed è stato tra i primi ad arrivare nel 1992. Ora, in qualità di operatore comunitario, sta aiutando i nuovi arrivati ad ambientarsi.

“Queste persone si trovano in una situazione difficile”, ha detto. “Hanno viaggiato molto lontano. Così ho deciso di chiedere in giro dei contributi, in denaro o in vestiti. Ho una parte del denaro donato e ho intenzione di comprare delle lenzuola di plastica per loro”.

Khadija ha raccontato di essere stata accolta a braccia aperte dai rifugiati che già vivono a Dadaab, compreso un parente che le ha costruito un rifugio. “Ma non abbiamo cibo, né un riparo, né latrine”, ha detto.

Il sovraffollamento e la mancanza di strutture igieniche sufficienti nel campo hanno contribuito a un’epidemia di colera, con quasi 500 casi identificati dalla fine di ottobre, molti dei quali bambini.

L’UNHCR sta collaborando con i suoi partner sanitari per creare altri centri di trattamento del colera per aumentare l’accesso all’assistenza sanitaria, ma la carenza di fondi sta ostacolando la risposta.

L’UNHCR ha ricevuto solo la metà di quanto necessario per rispondere alla crisi di siccità che colpisce l’intera regione del Corno d’Africa.

“Abbiamo urgentemente bisogno di teli di plastica, tende e altri materiali per i rifugiati e i nuovi arrivati. Abbiamo anche bisogno di medicinali, di forniture mediche e di più personale sanitario, oltre che di beni di prima necessità come set da cucina, coperte, taniche, sapone, kit per l’igiene femminile e stuoie per dormire”, ha dichiarato Martha.

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