L’UNHCR riconosce che le conseguenze dei cambiamenti climatici sono estremamente serie, anche per i rifugiati e per le altre persone che rientrano nel suo mandato. Il Global Compact sui Rifugiati adottato con una maggioranza schiacciante in seno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 2018, tratta in modo diretto le crescenti preoccupazioni in materia. Esso riconosce che ‘clima, degrado ambientale e catastrofi naturali interagiscono sempre più coi fattori alla radice dei movimenti di rifugiati’.

Gli impatti prodotti dai cambiamenti climatici sono numerosi. Le risorse naturali, quali l’acqua potabile, sono probabilmente destinate a divenire ancora più scarse in diverse parti del pianeta. Coltivazioni e bestiame faticano a sopravvivere nelle ‘zone calde’ del fenomeno, nelle quali le condizioni ambientali diventano troppo calde e secche, oppure troppo fredde e piovose, minacciando i mezzi di sussistenza e aggravando l’insicurezza alimentare.

Le persone cercano di adattarsi all’ambiente che cambia, ma molte sono costrette a fuggire dalle proprie terre dagli effetti dei cambiamenti climatici e delle catastrofi naturali, oppure si trasferiscono per poter sopravvivere. L’andamento dei nuovi esodi e la corsa per accaparrarsi le risorse naturali in via di esaurimento possono scatenare conflitti tra le comunità o aggravare vulnerabilità preesistenti.

Le persone fuggite oltre confine da contesti segnati da cambiamenti climatici e catastrofi naturali, in determinate circostanze, potrebbero necessitare di protezione internazionale. Il diritto in materia di rifugiati, pertanto, svolge un ruolo importante in quest’ambito. L’UNHCR fornisce protezione e assistenza a numerose persone costrette a fuggire dagli effetti di cambiamenti climatici e catastrofi naturali, tra altri fattori di spinta, e lavora per incrementarne la resilienza.

Il ruolo dell’UNHCR nella risposta agli esodi forzati correlati a cambiamenti climatici e catastrofi naturali

Il lavoro dell’UNHCR in relazione agli esodi forzati correlati a cambiamenti climatici e catastrofi naturali copre quattro aree principali:

  1. Consulenza legale, orientamento e sviluppo di norme volti a supportare una più efficace protezione dei diritti delle persone costrette a fuggire nel contesto di catastrofi naturali e cambiamenti climatici.
  2. Promozione di politiche coerenti .
  3. Lavoro di ricerca volto a colmare le lacune che riguardano quest’attività operativa e di elaborazione delle politiche.
  4. Attività sul campo per far fronte a esodi interni e transfrontalieri correlati a catastrofi naturali; ridurre l’impatto ambientale degli insediamenti di rifugiati e assicurare risposte sostenibili agli esodi ; attività di riduzione dei rischi e altre volte a prevenire, minimizzare e rispondere agli esodi.

Tramite la partecipazione ai processi di sviluppo delle politiche globali, l’UNHCR ha svolto un ruolo pionieristico nel sensibilizzare il pubblico in relazione ai cambiamenti climatici quale fattore alla radice degli esodi forzati e alla necessità di occuparsi della protezione delle persone in fuga da contesti segnati da catastrofi naturali.

Nel 2018, gli eventi segnati da condizioni climatiche estreme, quali la grave siccità in Afghanistan, il ciclone tropicale Gita a Samoa, e le alluvioni nelle Filippine, hanno generato gravi esigenze umanitarie. Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre, vi sono stati 18,8 milioni di nuovi sfollati interni in fuga da catastrofi naturali nel 2017. La maggior parte degli esodi legati a rischi naturali e all’impatto dei cambiamenti climatici è interna, considerato che le persone colpite restano entro i confini nazionali. Tuttavia, succede anche che si verifichino esodi che sfociano oltre confine e che possono essere correlati a situazioni di conflitto o violenze.

In ogni caso, le persone che fuggono da catastrofi naturali sono portatrici di esigenze e vulnerabilità cui è necessario far fronte. Le persone già fuggite per motivi diversi da catastrofi legate a rischi naturali – compresi rifugiati, apolidi e sfollati interni – spesso vivono nelle ‘zone calde’ dei cambiamenti climatici e possono ritrovarsi esposte alla necessità di intraprendere movimenti secondari. Inoltre, il verificarsi di impatti analoghi sulle loro terre di origine può inibirne le capacità di fare ritorno in condizioni sicure.

L’UNHCR svolge un ruolo guida nel Global Protection Cluster volto a proteggere e assistere le persone sfollate all’interno del proprio Paese e che non possono fare ritorno alle proprie terre in condizioni sicure. Quando chiamata a intervenire, l’Agenzia può dispiegare unità di emergenza e assicurare supporto concreto in termini di procedure di registrazione, raccolta di documentazione, ricongiungimento familiare e fornitura di alloggi, servizi di base per l’igiene e aiuti alimentari. L’UNHCR, inoltre, è invitato permanente del Gruppo di coordinamento della piattaforma Platform on Disaster Displacement, che dà seguito all’Iniziativa Nansen sugli esodi transfrontalieri correlati a catastrofi naturali. La piattaforma è un’iniziativa guidata dagli Stati e volta a implementare l’Agenda dell’Iniziativa Nansen per la protezione.

Insieme alla Georgetown University e ad altri partner, l’UNHCR ha redatto indicazioni per il ricollocamento pianificato delle popolazioni a rischio, al fine di proteggerle dalle catastrofi e dagli effetti dei cambiamenti climatici, rispettandone, allo stesso tempo, i diritti umani. Inoltre, l’Agenzia ha assicurato supporto tecnico al processo avviato a partire dal 2008 dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, anche mediante il Gruppo di consulenza su cambiamenti climatici e mobilità umana (Advisory Group on Climate Change and Human Mobility) e il ruolo di membro ricoperto nella Task force sugli esodi (Task Force on Displacement/TFD) su mandato del Comitato esecutivo del Meccanismo internazionale di Varsavia su perdite e danni derivanti dall’impatto dei cambiamenti climatici.

Nel 2018, nel corso dell’implementazione del piano di lavoro della TFD, l’UNHCR ha commissionato una mappatura delle linee guida e degli strumenti internazionali e regionali esistenti volti a prevenire, minimizzare, trattare e agevolare l’attuazione di soluzioni durature agli esodi correlati agli impatti negativi dei cambiamenti climatici e ha contribuito alla stesura di raccomandazioni per l’adozione di approcci integrati volti a prevenire, minimizzare e rispondere agli esodi correlati agli effetti negativi dei cambiamenti climatici presentate alla conferenza COP24 e adottate dalle parti coinvolte. L’UNHCR riafferma il proprio impegno a continuare ad assicurare supporto tecnico alle parti nell’implementazione dell’Accordo di Parigi, e a partecipare attivamente alla TFD ai sensi del rinnovato mandato.

“Rifugiati climatici”?

Il termine “rifugiato climatico” è spesso utilizzato dai media e nei dibattiti. Tuttavia, si tratta di un’espressione che può generare confusione, dal momento che non ha fondamento nel diritto internazionale.  Un “rifugiato” è definito come chiunque abbia varcato frontiere internazionali e non possa fare ritorno nel proprio Paese di origine “per il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche” (Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati). In determinati contesti, la definizione è estesa a chiunque fugga da “eventi che compromettono gravemente l’ordine pubblico” (Convenzione OUA del 1969; Dichiarazione di Cartagena del 1984). I cambiamenti climatici colpiscono le persone all’interno del proprio Paese, e solitamente generano esodi interni, prima di raggiungere livelli di gravità che costringono le persone a fuggire oltre confine. Possono presentarsi situazioni in cui si applicano i criteri per il riconoscimento dello status di rifugiato previsti dalla Convenzione del 1951 o criteri di riconoscimento di portata più ampia contemplati da quadri normativi regionali in materia di rifugiati, per esempio quando carestie correlate a siccità sono legate a situazioni segnate da conflitti armati e violenze – un ambito conosciuto come “dinamiche di nesso”. A prescindere da tali considerazioni, l’espressione “rifugiato climatico” non è approvata dall’UNHCR, ed è più preciso riferirsi a “persone costrette a fuggire nel contesto di catastrofi naturali e cambiamenti climatici””.

Dinamiche di nesso

La storia recente è stata testimone di movimenti transfrontalieri in situazioni nelle quali conflitti o violenze hanno interagito con catastrofi o effetti avversi dovuti ai cambiamenti climatici.  Eppure, le ricerche sulle prassi con cui gli Stati di accoglienza/asilo hanno fatto uso del diritto in materia di rifugiati per riconoscere protezione internazionale in tali situazioni complesse sono state tradizionalmente limitate. Per colmare tale lacuna e individuare politiche e soluzioni pratiche volte a rafforzare l’implementazione di una protezione internazionale basata sul diritto in materia di rifugiati al verificarsi di esodi transfrontalieri nel contesto di dinamiche di nesso, nel 2018 l’UNHCR ha elaborato il documento In Harm’s Way: International protection in the context of nexus dynamics between conflict or violence and disaster or climate change (Esposti al pericolo: Protezione internazionale nel contesto delle dinamiche di nesso tra conflitti o violenze e catastrofi o cambiamenti climatici).

Lo studio esamina i tipi di protezione concessi alle persone fuggite all’estero per Paesi di destinazione in specifiche situazioni verificatesi nel Corno d’Africa e nelle Americhe, in cui conflitti o violenze hanno interagito con cambiamenti climatici o catastrofi naturali. Una breve panoramica dello studio, che illustra ambito di ricerca, osservazioni chiave e raccomandazioni, è disponibile in inglese, francese e spagnolo. I risultati rafforzano quanto emerso dal precedente documento dell’UNHCR Legal considerations on refugee protection for people fleeing conflict and famine affected countries (Considerazioni legali in materia di protezione internazionale per le persone in fuga da Paesi segnati da conflitti e carestie) e indicano che i quadri normativi in materia di rifugiati possono essere applicati nelle situazioni in cui siano presenti dinamiche di nesso. Ciononostante, in quest’area continuano a esservi lacune relative a dati e conoscenze che è necessario colmare.