Humanitarians at Work: Ricostruire la Siria, una storia alla volta
Humanitarians at Work: Ricostruire la Siria, una storia alla volta

Quattordici anni di guerra hanno costretto milioni di siriani a lasciare le loro case. Ora, in migliaia stanno cercando di tornare, ma la loro casa non è più quella di una volta. Gli edifici sono distrutti, le scuole e gli ospedali funzionano a malapena e i posti di lavoro sono scarsi. Quasi 300.000 siriani hanno fatto la difficile scelta di tornare dal dicembre 2024, ma la loro capacità di restare dipende da concreti miglioramenti nella sicurezza, nelle infrastrutture e nelle opportunità economiche.
Hameed Maarouf, Senior Communications Assistant dell’UNHCR in Siria, racconta le loro storie. Attraverso il suo lavoro, parla delle difficoltà e delle speranze delle famiglie rifugiate e sfollate, l’importanza di sostenerle e la straordinaria resilienza di chi è determinato a riprendersi il proprio futuro.
Q&A: Hameed Maarouf , Senior Communications Assistant presso l'ufficio dell'UNHCR in Siria
Perché hai scelto di diventare un operatore umanitario?
Diventare un operatore umanitario non è stata solo una scelta professionale, ma una vera e propria vocazione. Assistere alle immense sofferenze causate dal conflitto e dalla crisi umanitaria in Siria ha fatto nascere in me un profondo senso di responsabilità e il desiderio di aiutare in ogni modo possibile. Crescendo in un Paese segnato dalla crisi, ho visto con i miei occhi quanto l’assistenza umanitaria possa rappresentare una vera ancora di salvezza per chi è in difficoltà. Questa consapevolezza mi ha spinto a entrare nell’UNHCR, per mettere le mie competenze e la mia passione al servizio di un lavoro che fa davvero la differenza nella vita di persone vulnerabili.
Lavorare nel settore umanitario significa essere parte di qualcosa di più grande di sé stessi: portare speranza a chi ha perso tutto e aiutare a ricostruire vite spezzate. Ogni giorno, la forza e la resilienza delle famiglie sfollate mi ispirano e mi motivano affinché le loro voci siano ascoltate, i loro diritti rispettati e la loro dignità preservata.
Com'è una tua giornata tipo?
Le missioni sul campo sono una parte fondamentale del mio lavoro in quanto mi permettono di documentare le realtà sul terreno attraverso interviste, fotografie e racconti video. Che si tratti di una persona rifugiata che ricostruisce la sua vita, di una famiglia sfollata che riceve assistenza salvavita o di un membro della comunità ospitante che beneficia di un progetto supportato dall'UNHCR, ogni storia è una testimonianza di resilienza e solidarietà.
Collaboro con diversi team per coordinare i messaggi chiave, garantire visibilità ai contributi dei donatori e sviluppare contenuti per social media, report e materiali di sensibilizzazione. Un’altra parte importante del mio lavoro è interagire con i media e assicurare una copertura tempestiva degli interventi umanitari.
In definitiva, il mio ruolo è quello di fare da ponte tra la risposta umanitaria e il resto del mondo, attirando l’attenzione sia sulle sfide che sulle soluzioni, per garantire che il supporto raggiunga chi ne ha più bisogno.
Come descriveresti il tuo ruolo in tre parole?
Storytelling, advocacy e engagement.
Quali sono le sfide più grandi nel tuo lavoro?
Una delle sfide più grandi nel mio lavoro è garantire che le voci delle persone costrette a fuggire siano rappresentate accuratamente ed eticamente. Raccontare le loro storie richiede un profondo senso di responsabilità, poiché non si tratta solo di condividere informazioni, ma di preservare la loro dignità.
Un’altra sfida è lavorare in un contesto umanitario in continua evoluzione. La situazione sul campo può cambiare rapidamente a causa di nuove crisi, e questo richiede grande adattabilità, capacità di prendere decisioni rapide di produrre contenuti efficaci sotto pressione.
Inoltre, bilanciare il coinvolgimento emotivo con l’obiettività professionale non è facile. Ascoltare storie di sofferenza può essere difficile, ma è essenziale rimanere concentrati sull’obiettivo: amplificare le loro voci e mettere in luce il supporto che ricevono.
Sapere che una storia, un video o un report possono mobilitare aiuti, influenzare decisioni politiche o semplicemente ricordare a queste persone che non sono dimenticate è ciò che mi spinge a continuare ogni giorno.
Qual è stato il giorno più bello del tuo lavoro?
Uno dei momenti più indimenticabili della mia carriera è stato quando ho incontrato Wafaa, nel 2017, nella campagna di Aleppo. Non aveva ancora dieci anni, ma portava su di sé le cicatrici profonde della guerra: il suo corpo era coperto di ustioni, conseguenza di un bombardamento che aveva distrutto la sua casa nel quartiere di Al-Shaar, nell’est di Aleppo.
Nonostante il dolore, in Wafaa si percepiva una forza straordinaria. Sapevo che la sua storia doveva essere raccontata, non solo per testimoniare la sua sofferenza, ma per alimentare la speranza. Con il permesso della sua famiglia, ho realizzato un video sulla sua storia e lo abbiamo pubblicato sui canali social dell’UNHCR. La risposta è stata incredibile: il video ha ricevuto grande attenzione e ci ha permesso di coordinarci con un’organizzazione internazionale che ha organizzato per lei il primo intervento chirurgico ricostruttivo a Damasco.
Ma l’impatto non si è fermato lì. Ho continuato a seguire il suo percorso, documentando i suoi progressi e realizzando un altro video dopo la prima operazione. Sempre più persone hanno offerto il loro aiuto, e alla fine, grazie alla generosità di un’organizzazione umanitaria, Wafaa e sua madre sono state portate in Italia, dove ha ricevuto le cure mediche di cui aveva disperatamente bisogno.
Ancora oggi considero la storia di Wafaa uno dei momenti più significativi della mia carriera. Mi ha ricordato che la comunicazione nel settore umanitario non è solo un mezzo per informare, ma uno strumento per creare un cambiamento reale.
Quali sono le competenze e le qualità essenziali per avere successo in questo ruolo?
Per lavorare nella comunicazione umanitaria, l’empatia e la sensibilità sono fondamentali. Collaborare con persone vulnerabili che hanno vissuto esperienze traumatiche richiede una comprensione profonda della loro realtà. Ogni storia va raccontata con rispetto e attenzione, garantendo che le voci di chi ha sofferto siano rappresentate con dignità.
La capacità di raccontare storie in modo coinvolgente è essenziale. Attraverso testi, fotografie o video, l’obiettivo è creare un legame emotivo con il pubblico, rendendo accessibili e toccanti temi umanitari spesso complessi. La creatività gioca un ruolo chiave, sia nel modo in cui le storie vengono raccontate, sia nel trovare strategie innovative per raggiungere le persone e generare impatto su diverse piattaforme.
Vista la natura imprevedibile del lavoro umanitario, l’adattabilità è cruciale. Le situazioni sul campo cambiano rapidamente, ed è indispensabile sapersi adeguare senza compromettere la qualità e la professionalità. Inoltre, una comunicazione efficace e la collaborazione con team diversi — dallo staff sul campo ai partner esterni — sono fondamentali per garantire messaggi coerenti, accurati e incisivi.
Un’altra qualità imprescindibile è la capacità di risolvere problemi. Le sfide nel settore umanitario sono spesso complesse e richiedono pensiero critico e soluzioni pratiche.
Il peso emotivo delle storie che raccontiamo rende necessaria una grande resilienza. Ascoltare esperienze di sofferenza e trovarsi di fronte a realtà difficili può essere emotivamente impegnativo, ma è essenziale rimanere concentrati sulla missione: dare voce a chi ha bisogno di aiuto. Infine, l’attenzione ai dettagli è fondamentale per garantire la precisione delle informazioni, il rispetto delle linee guida etiche e la corretta rappresentazione delle persone coinvolte.
Le competenze tecniche sono altrettanto importanti. Dalla fotografia alla produzione video, dalla gestione dei social media all’uso degli strumenti digitali, è necessario saper creare contenuti di alta qualità. E, naturalmente, la sensibilità culturale è essenziale per assicurare che il nostro lavoro sia rispettoso, pertinente e significativo per le comunità locali.
Quando queste competenze si combinano con il desiderio di fare la differenza, si crea la base per avere successo in questo ruolo.
Qual è il consiglio che daresti a chi sta pensando di intraprendere una carriera nel settore umanitario?
Se stai pensando di lavorare nel settore umanitario, il mio consiglio è di affrontarlo con passione e pazienza. Questo lavoro è incredibilmente gratificante, ma può anche essere impegnativo ed emotivamente difficile. È importante rimanere connessi alla propria missione, ricordando che anche le azioni più piccole possono avere un impatto enorme sulla vita di chi ha bisogno.
Preparati ad affrontare incertezze e difficoltà, ma non lasciarti scoraggiare. Spesso le cose non vanno come previsto e gli ostacoli sono inevitabili, ma la resilienza è essenziale. In questo campo, la flessibilità, la volontà di imparare e il rispetto profondo per le persone che assistiamo fanno la differenza nel lasciare un segno duraturo.
E soprattutto, mantieni l’umiltà e sii sempre disposto a imparare dagli altri—che siano colleghi, comunità locali o le stesse persone che aiuti. Ogni giorno è un’opportunità di crescita, non solo a livello professionale, ma anche personale.
Come trovi la motivazione per affrontare le sfide del lavoro umanitario?
Durante i terremoti che hanno colpito la Siria nel 2023, conciliare il mio ruolo di operatore umanitario con quello di marito e padre è stata una delle cose più difficili che abbia mai affrontato. In quel periodo, mia moglie era incinta di cinque mesi e la mia priorità assoluta era proteggerla, insieme al resto della mia famiglia. La paura e l’incertezza erano enormi, ma sapevo che il mio dovere andava oltre le mura di casa. Migliaia di famiglie avevano perso tutto nell’arco di una sola notte e avevano bisogno di aiuto immediato.
Nel caos della crisi, mi sono dedicato a documentare la situazione, fotografando il disastro e raccogliendo le testimonianze di chi era stato colpito. Il mio compito era far sapere al mondo cosa stesse accadendo, far arrivare le voci di chi ha perso tutto alle persone giuste e far in modo che gli aiuti arrivassero il più rapidamente possibile. È stato un periodo estenuante, sia fisicamente che emotivamente, ma sapere che il mio lavoro poteva fare la differenza mi ha dato la forza di andare avanti.
Nonostante le lunghe giornate e il peso emotivo, tornare a casa da mia moglie mi dava un senso di stabilità. La mia famiglia è la mia più grande fonte di conforto e motivazione. Mi ricordano perché faccio questo lavoro: per costruire un mondo in cui nessuno debba affrontare una crisi del genere da solo.
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L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, è un’organizzazione globale impegnata a salvare vite, proteggere i diritti e costruire un futuro migliore per le persone costrette a fuggire a causa di conflitti e persecuzioni. Con oltre 20.000 operatori umanitari in tutto il mondo, lavoriamo per garantire che ogni persona costretta alla fuga possa ricostruire la propria vita.
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