Rama, 33 anni, aveva una vita normale in Siria. Era professoressa di storia e geografia in una scuola di Damasco, la città in cui è nata e cresciuta. Oggi la capitale del paese è stata devastata da 8 anni di guerra.
“Era una città grande, bella.. il centro era molto antico. In Siria ci sono città molto antiche, con tanta storia. Questa era la Siria di un tempo però: dopo l’inizio della guerra tutto è diventato molto diverso. La guerra è un qualcosa di molto difficile”.
Dopo lo scoppio del conflitto, Rama ha continuato a vivere a Damasco con le figlie Lamar e Celin, che oggi hanno rispettivamente 7 e 5 anni. Non è facile essere obbligati a lasciare la propria casa, il proprio paese, le proprie radici. La madre e la sorella di Rama erano venute in Brasile quattro anni prima che lei decidesse di unirsi a loro.
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“Vivere lì era molto difficile. Non avevo casa, lavoro, famiglia. Non avevo soldi per comprare nulla. Mia sorella, che era qui in Brasile, mi aiutava. E’ molto difficile, perchè la guerra non solo distrugge la tua casa o la tua strada: distrugge il tuo cuore. Tutte le famiglie siriane sono state colpite in qualche modo: hanno perso la loro casa, non sanno dov’è il marito, il figlio…”.
La crisi in Siria continua ad essere la principale crisi di rifugiati al mondo. La guerra dura già da otto anni, con più di 5, 6 milioni di rifugiati registrati e più di 6 milioni di persone sfollate all’interno del paese. Case, scuole e ospedali sono stati distrutti davanti agli occhi di tutto il mondo. Intere città sono scomparse sotto i bombardamenti, mentre migliaia di persone perdevano la vita o venivano ferite.
“Mio marito è scomparso, le mie figlie non si ricordano di lui. Non sappiamo se è vivo o morto. Da due mesi, mia madre è tornata in Siria per cercare la sua famiglia. E’ una storia molto triste”.
Come succede nella vita quotidiana in guerra, Rama e le sue figlie sono state raggiunte da una bomba. Camminavano per le strade di Damasco quando è iniziato un bombardamento che le ha colpite. Le bambine, che allora avevano 3 e 5 anni, sono state sbalzate al suolo, e lei ha perso conoscenza per un periodo di tempo che non sa precisare: “ Ho visto le mie figlie stese a terra in strada, chiamavo i loro nomi ma non rispondevano. Lamar sanguinava molto. Anche io ero ferita, ma in quel momento non me ne resi conto: vedevo solo le mie figlie. E’ stato molto difficile perchè non c’era nessun ospedale vicino dove andare, a causa di un’altra bomba. Allora ho aspettato a casa di un vicino che mi ha aiutato finchè non siamo potuti andare in un altro ospedale, dove abbiamo passato due mesi”.
Dopo l’attacco le bambine sono state ricoverate, lottando per sopravvivere per due mesi. Celin, la più piccola, ha ricevuto gravi ferite a una gamba, a una mano e al ventre, e nel suo corpo è rimasto un frammento della bomba. Sua sorella maggiore, insieme ad altre ferite, ha perso un occhio e oggi utilizza una protesi oculare. Quando crescerà dovrà operarsi per estrarre una scheggia della bomba che le è rimasta nella testa.
“Si ricordano solo della bomba, non riescono a dimenticarla. Di conseguenza, Lamar ha problemi psicologici. Più diventa grande, più chiede del suo occhio. Due mesi fa, quando sua nonna è tornata in Siria, piangeva molto e pensava che sarebbe morta, che anche lei sarebbe stata colpita da una bomba”.
Quando le piccole sono guarite e sono state dimesse dall’ospedale, la prima cosa che ha fatto Rama è stata mettere insieme il poco che aveva con l’aiuto di alcune amiche e andare in Brasile. Per questo è dovuta andare fino a Beirut, in Libano, perchè a Damasco già non c’era più il consolato.
“Sono dovuta andare al consolato a Beirut e lì mi hanno aiutato non appena hanno visto le mie figlie. Stavano molto male”.
Sua madre e sua sorella erano già a San Paolo, per cui Rama ha visto in questa città un’opportunità per ricominciare le loro vite. All’arrivo hanno cercato la Caritas, partner dell’UNHCR, che le ha aiutate con la documentazione.
Oggi la famiglia è già da due anni e mezzo in Brasile, ma i primi tempi non sono stati facili. Dopo aver trascorso sei mesi a casa di un’amica, una generosa conoscente ha offerto a Rama una casa in cui installarsi con la sua famiglia. Dopo poco le piccole hanno iniziato ad andare a scuola e hanno avuto accesso ai servizi sanitari, di cui hanno bisogno per trattare le conseguenze degli attacchi.
Ma tutto è cambiato realmente quando nel 2018 Rama ha partecipato al progetto “Empoderando Refugiadas”, iniziativa dell’UNHCR e del Patto Mondiale. Grazie a questo progetto, Rama ha avuto un lavoro come dipendente amministrativa nell’impresa Fox Times.
“I brasiliani sono molto buoni, hanno un cuore molto grande. Non mi sento rifugiata, non mi sento straniea: mi sento a casa, nel mio paese. In Siria non mi rimane più nulla, ma qui ho la mia famiglia, amiche sul lavoro”.
Quando pensa al futuro, Rama continua a non vedere una strada sgombra. Per convalidare la sua laurea in Brasile dovrebbe fare un anno di portoghese e storia all’Università, cosa che le risulta impossibile da relaizzare per le responsabilità derivanti da due figlie piccole.
L’UNHCR si occupa sin dall’inizio dell’emergenza siriana. Siamo la principale agenzia delle Nazioni Unite in termini di protezione, accoglienza, servizi alla comunità e distribuzione di aiuti essenziali in Siria. Ma non è tutto: siamo dalla parte dei rifugiati e li accompagniamo in ogni fase del loro viaggio. In Brasile, attraverso i nostri partner locali, sosteniamo corsi di portoghese, convalida di titoli e documentazione, nel tentativo di integrare le famiglie e dare loro l’opportunità di vivere in condizioni migliori.
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