Humanitarians at work: Da rifugiato a protection-officer in prima linea
Humanitarians at work: Da rifugiato a protection-officer in prima linea
Ex-rifugiato diventato Protection Officer per l’UNHCR, Akera porta una prospettiva unica del nostro lavoro in Sud Sudan. Dal 2022 affronta con determinazione ed empatia rischi alla sicurezza, tagli ai finanziamenti e un numero sempre crescente di arrivi di persone rifugiate e sfollate. La sua storia ci ricorda quanto siano essenziali le voci dei rifugiati e come possano essere protagonisti nella risposta umanitaria.
In questa edizione di #HumanitariansAtWork, Akera ci racconta cosa significa davvero proteggere comunità vulnerabili in un contesto tanto fragile.
Q&A: Akera David Odono - Protection Officer in Sud Sudan
Perché sei diventato un operatore umanitario?
Essere un operatore umanitario, per me, è una vocazione. Sono cresciuto circondato dal conflitto, fin da quando ho memoria. Sono nato durante la guerra, sono cresciuto durante la guerra e alla fine sono fuggito dal mio Paese con la mia famiglia. Siamo arrivati in un campo rifugiati, dove UNHCR e altre organizzazioni umanitarie ci hanno soccorsi e supportati. Questa esperienza mi ha segnato profondamente.
Con il tempo ho sviluppato una forte empatia verso chi è colpito da conflitti e sfollamenti. Il mio primo impegno umanitario è stato come volontario della Croce Rossa nel campo, aiutando a costruire case per le persone più anziane. Quel lavoro mi ha dato un vero senso di identità. Sentivo che era mio dovere aiutare chi aveva bisogno, e quella sensazione non mi ha mai lasciato.
Anni dopo, sono tornato nel mio Paese e ho ricevuto il mio primo incarico ufficiale con UNHCR. Quel ruolo mi ha permesso di stare sul campo, a stretto contatto con le comunità, sostenendole mentre ricostruivano le loro vite e rafforzavano la propria resilienza. Da volontario nel campo a professionista sul campo, queste esperienze hanno plasmato chi sono oggi.
Com'è una tua giornata tipo?
La maggior parte del mio lavoro si svolge sul campo. Passo pochissimo tempo alla scrivania. Il mio ruolo è incentrato sulla protezione comunitaria, quindi sono sempre fuori, in contatto con persone, partner e autorità locali.
Ogni giornata inizia con un briefing del team per discutere i principali aggiornamenti. Visito regolarmente i Protection Information Desks per monitorare la gestione dei casi e raccogliere dati in tempo reale. Collaboro anche con i nostri partner operativi, i rappresentanti governativi e i membri delle comunità per affrontare questioni di protezione. Coordino inoltre il Protection Cluster nel nostro Stato, supervisionando sottogruppi dedicati alla violenza di genere e alla protezione dei minori, per assicurare una risposta tempestiva a questioni urgenti.
Un altro aspetto fondamentale è il monitoraggio dei movimenti delle persone ai confini, in particolare dei rimpatriati sud sudanesi, e la formazione dello staff nella raccolta dei dati.
Questa è la mia giornata tipo: sempre in movimento, sempre in contatto con le persone, sempre focalizzato sulla protezione e il sostegno alle comunità vulnerabili.
Una madre Sudanese davanti al suo riparo in Sud Sudan.
Quali sono le sfide più grandi nel tuo lavoro?
L’aspetto più difficile è il carico emotivo che deriva dal lavorare con persone profondamente traumatizzate.
Molti dei nostri beneficiari sono sopravvissuti a conflitti, sfollamenti e violenze, inclusi casi di stupro e altri crimini. Nella gestione dei loro bisogni, è necessario immedesimarsi per comprendere davvero ciò che hanno vissuto. Non è facile. Anche se non forniamo supporto psicosociale diretto abbiamo attivato canali di assistenza, ed essere esposti quotidianamente a tanta sofferenza ti segna. Può essere emotivamente sfiancante.
Un’altra sfida importante è la sicurezza. Nella mia area di competenza, lo Stato di Western Bahr el-Ghazal, in Sud Sudan, la situazione è instabile. Accedere a certe zone è complicato e richiede tempo. Servono molte autorizzazioni e a volte l’accesso è negato. Questo ritarda il nostro lavoro e limita le nostre possibilità di portare aiuto nelle aree più bisognose.
Ci confrontiamo anche con gravi limiti di risorse. Ci sono casi in cui gruppi numerosi di persone sfollate necessitano assistenza urgente, ma le risorse disponibili semplicemente non bastano. In quei casi, dobbiamo dare priorità ai più vulnerabili, una scelta sempre difficile. Sai che ci sono altre persone in difficoltà, ma puoi fare solo fino a un certo punto.
Qual è stato un momento in cui hai visto il vero impatto del tuo lavoro?
Recentemente ho partecipato a un intervento molto importante durante un conflitto violento tra comunità sud sudanesi e sudanesi nella nostra regione. A seguito di un’escalation in Sudan, la tensione si è riversata anche qui, portando a saccheggi, violenze e attacchi. Il nostro Stato era coinvolto e bisognava agire in fretta.
Insieme alle autorità governative, abbiamo creato immediatamente una task force d’emergenza. Abbiamo distribuito i compiti in maniera strategica: le forze di sicurezza e la polizia hanno garantito protezione fisica, gli attori umanitari hanno mobilizzato risorse, e le organizzazioni della società civile hanno promosso il dialogo tra le parti in conflitto.
È stata una situazione rischiosa e carica di tensione, ma dopo una settimana di intenso lavoro e incontri continui, siamo riusciti a ottenere una de-escalation e ristabilire la pace.
Quali sono le competenze e le qualità essenziali per avere successo in questo ruolo?
Servono passione, adattabilità e ottime doti relazionali. Comunicazione e collaborazione sono fondamentali, soprattutto quando si lavora a stretto contatto con comunità, partner e autorità governative. Una buona conoscenza dei principi di protezione, esperienza sul campo e capacità di coordinarsi nel sistema umanitario sono essenziali per garantire risposte efficaci. Altrettanto importante è sapersi adattare ai cambiamenti improvvisi, saper individuare le priorità e sostenere il proprio team per fare in modo che tutto continui a funzionare.
Qual è il consiglio che daresti a chi sta pensando di intraprendere una carriera nel settore umanitario?
Credo che essere operatori umanitari sia una vocazione. Non si può fare bene questo lavoro senza una profonda dedizione verso le persone che assistiamo. Per me, questo legame viene naturale: essendo stato io stesso un rifugiato, so cosa significa trovarsi dall’altra parte. Questa esperienza vissuta mi guida ogni giorno.
Come descriveresti il tuo ruolo in tre parole?
Sostenere, proteggere, supportare.
Se potessi inviare un messaggio ai leader mondiali sull’importanza degli aiuti internazionali, quale sarebbe?
Per Paesi come il Sud Sudan, gli aiuti internazionali sono stati un’ancora di salvezza durante decenni di guerra, sfollamenti e instabilità. Parlo per esperienza personale: sono cresciuto come rifugiato. Senza aiuti internazionali non sarei chi sono adesso, e non starei lavorando per UNHCR a supporto di chi ha più bisogno. Come per tante altre persone, è stato il sostegno della comunità internazionale a rendere possibile la mia vita e il mio percorso.
Gli aiuti umanitari alimentano lo sviluppo e danno la possibilità ad intere comunità di diventare autosufficienti. Portano servizi essenziali a chi altrimenti ne resterebbe escluso. Senza di essi, il sistema sanitario del Sud Sudan crollerebbe, lasciando milioni di persone senza accesso nemmeno ai servizi più basilari.
Tagliare gli aiuti ora significherebbe annullare decenni di progressi e impedire agli operatori umanitari di rispondere alle nuove emergenze. I bisogni stanno crescendo, e il supporto deve crescere di pari passo. Lanciamo un appello urgente alla comunità internazionale: non abbandonateci.
________________________________
Grazie per essere stati con noi!
Condividete con noi le vostre riflessioni: scriveteci nei commenti cosa vi ha colpito di più del lavoro di Akera e sentitevi liberi di porre qualsiasi domanda su cosa significhi proteggere le comunità più vulnerabili.
UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, è un’organizzazione globale impegnata a salvare vite, proteggere i diritti e costruire un futuro migliore per chi è costretto a fuggire a causa di conflitti e persecuzioni. Con oltre 20.000 operatori umanitari in tutto il mondo, lavoriamo per un mondo in cui ogni persona in fuga possa ricostruire il proprio futuro.
Lasciati ispirare da storie come quella di Akera e unisciti a noi nella nostra missione per fare la differenza.
Scopri di più sul lavoro di UNHCR in Sudan: Emergenza in Sudan: una crisi umanitaria senza precedenti