Di Celine Schmitt, 6 giugno 2014
Ibrahim, 7 anni, gioca felicemente di fronte a sua madre nella città di Gbiti, in Camerun. Sembra uguale a tutti gli altri bambini della sua età. Ma quando si gira, chi lo vede rimane colpito dalla cicatrice profonda che ha in testa.
La cicatrice, provocata da un machete, è un ricordo indelebile della morte scampata nella sua nativa Repubblica Centrafricana. Ibrahim deve la sua vita all’intervento rapido del personale dell’UNHCR, che si è accorto della terribile ferita del bambino mentre attraversava il fiume, che segna il confine tra il Camerun e la Repubblica Centrafricana. Un pezzo della testa era stato tagliato, esponendo l’osso e parte del cervello.
Lo staff UNHCR lo ha portato d’urgenza in ospedale nella città di Bertoua, a tre ore di distanza da Gbiti. Oltre alla profonda ferita, il bambino era debole e malnutrito per aver camminato attraverso la boscaglia con i suoi genitori per raggiungere la salvezza in Camerun. “Durante quei due mesi, Ibrahim non riusciva a dormire e non smetteva mai di piangere,” ricorda la madre Djoumba.
La maggior parte delle persone che arrivano a Gbiti sono esauste e in condizioni fisiche precarie a causa degli attacchi brutali da parte di gruppi armati. Molti riportano profondi tagli o ferite d’arma da fuoco, ma si considerano fortunati per essere ancora in vita. I gruppi armati attaccano uomini, donne e bambini, e solo pochi bambini sopravvivono alle ferite gravi come quella inflitta a Ibrahim.
L’UNHCR ed i suoi partner monitorano attentamente le migliaia di persone che attraversano il confine in prossimità di Gbiti, in particolar modo le persone che necessitano di assistenza medica, soprattutto i casi di malnutrizione e le persone che riportano lesioni fisiche. Coloro che necessitano di ospedalizzazione vengono portati a Bertoua, altri vengono trasferiti nei campi rifugiati. Senza questo sostegno da parte dell’UNHCR e partner, come Medici Senza Frontiere, molti sarebbero morti.
Come gran parte della popolazione rurale, i genitori di Ibrahim probabilmente pensavano che il conflitto scoppiato lo scorso dicembre a Bangui non sarebbe giunto nella loro area. Ma due mesi fa, quando il padre di Ibrahim, Amadou, era fuori con il bestiame, un gruppo di miliziani è arrivato a casa loro.
“Mi hanno trovato con i miei figli in casa. Hanno preso i bambini piccoli e li hanno massacrati a colpi di machete. Hanno ucciso sei persone, tra cui cinque bambini davanti ai miei occhi” afferma Djoumba, 30 anni. “Ibrahim era tra i sei figli che hanno preso. Quando lo hanno colpito con il machete pensavano fosse morto.”
Volevano prendere anche Djoumba con loro, ma quando ha opposto resistenza la hanno lasciata. “Mi hanno lasciato sdraiata sul pavimento accanto a Ibrahim. Poco dopo mi sono resa conto che Ibrahim respirava ancora”.
Quando Amadou è tornato a casa, ha trovato la moglie e il figlio ferito e ha deciso di fuggire immediatamente dal villaggio per trovare rifugio in Camerun. Non sono riusciti a coprire la ferita di Ibrahim, ma la hanno lavata con acqua calda per cercare di ridurre il rischio di infezione. Pensavano che Ibrahim sarebbe morto.
“Abbiamo camminato per due mesi, giorno e notte. Quando siamo arrivati in prossimita’ di un fiume, ci siamo riposati un po’. Abbiamo bevuto l’acqua del fiume e mangiato la carne di mucche morte trovate sulla strada. Anche le mucche sono morte di fame “, ha detto Djoumba.
Alla fine sono riusciti a raggiungere il confine vivi, ed è stato un caso che hanno attraversato il confine con il Camerun, in un punto dove si trovava il personale UNHCR che ha portato Ibrahim in ospedale per le cure di cui aveva disperatamente bisogno.
E’ stato dimesso dall’ospedale dopo un mese ed è tornato con la sua famiglia a Gbiti, in una sistemazione provvisoria che avevano costruito mentre aspettavano di essere trasferiti nel campo profughi di Mbile, all’interno del Camerun. Dato che circa 20.000 rifugiati hanno attraversato il confine a Gbiti, ci e’ voluto tempo per trasferirli tutti nell’entroterra.
Oggi, la ferita di Ibrahim è guarita e puo’ tornare a giocare felicemente con i nuovi amici. Non c’è stato alcun danno cerebrale permanente, ma avrà bisogno di sostegno psicologico per il trauma subito. E’ stato fortunato, ma ha anche avuto una forte forza di volontà per continuare a lottare per la vita. Quando arriverà al campo rifugiati, sarà in grado di ricomincire ad andare a scuola.
Molti dei bambini che fuggono dalle violenze nella Repubblica Centrafricana non riescono ad arrivare nei paesi confinanti, tra cui il Camerun, dove l’UNHCR, MSF e altre organizzazioni umanitarie forniscono assistenza d’emergenza, compresa l’assistenza sanitaria. Muoiono a causa di attacchi da parte delle forze armate o di fame o di malattia nel loro cammino verso la salvezza.
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