Di Iosto Ibba, aprile 2014
Augusta, 9 aprile – Sono le 11 di sera quando Mahamoud e le sue due figlie, Rose e Jasmine, sbarcano dalla nave “San Giusto” della Marina Militare. La nave è appena arrivata nel porto di Augusta, in Sicilia, e loro sono esausti. Si guardano intorno frastornati, chiedendosi dove sono, cercando un nome per questa ennesima tappa del loro viaggio.
Insieme a loro ci sono 1200 persone, dalla Siria, dal Mali, dall’Eritrea, dal Pakistan e dalla Nigeria. La nave, progettata per accogliere 500 persone, ne ha portate a bordo più di 1200, per non lasciare indietro nessuno degli 8500 migranti che la settimana precedente hanno tentato di attraversare il Mediterraneo a bordo di oltre 40 imbarcazioni sovraffollate.
Prima che scoppiasse la guerra Mahamoud era un avvocato, aveva una carriera ben avviata ed una casa con il cortile, nella quale viveva insieme alla sua famiglia. Nei momenti liberi gli piaceva anche dedicare del tempo alla sua passione, la storia. “Avevo un’intera collezione di libri di storia” racconta Mahamoud, “per me il passato è la chiave per comprendere il presente”. “Quello che sta succedendo in Siria però è completamente nuovo” aggiunge “non avevo mai conosciuto un conflitto ed una violenza così grandi, neanche sulle pagine di quei libri.”
L’odissea di Mahamoud e della sua famiglia è iniziata tre anni fa, quando sono stati costretti ad abbandonare la loro casa a Damasco, nel distretto di Yarmouk. “La situazione era insostenibile”, racconta, “tutto intorno si moriva di violenza e bombardamenti. Lì no, lì si moriva di fame”. Hanno dovuto abbandonare tutto all’improvviso e da quel momento il loro viaggio non è ancora terminato.
Al principio, come la maggior parte delle famiglie siriane, si sono spostati all’interno del paese, alla ricerca di un luogo sicuro, in fuga dai bombardamenti e dalla violenza. La moglie di Mahamoud non aveva ancora abbandonato la speranza di poter tornare a casa propria e non voleva andarsene dal paese. Anche lei, purtroppo, è rimasta vittima di un bombardamento, lasciandogli il compito di prendersi cura delle due figlie.
“Dopo la morte di mia moglie non ho avuto più dubbi, ho capito che era arrivato il momento di andar via” ha raccontato Mahamoud agli operatori dell’UNHCR “Avevo appena perso una delle persone più importanti della mia vita e non potevo correre il rischio di perdere anche le altre due, le mie bambine”. Quando hanno attraversato il confine con il Libano avevano solamente i soldi necessari a garantire la loro sopravvivenza.
In Libano, si sono fermati qualche giorno, il tempo di ricevere un visto da un parente ed imbarcarsi su un volo diretto in Algeria. Lì, come molti altri di loro, hanno preso contatti con dei trafficanti, che gli hanno fatto attraversare la frontiera per la Tunisia sul retro di un camion, promettendogli poi un posto in una barca diretta in Europa.
Dopo aver dato ai trafficanti il denaro richiesto, Mahmoud e le sue bambine sono rimasti bloccati in Tunisia per tre mesi. Hanno sofferto la fame e la sete, ma soprattutto il silenzio di queste persone, che li tenevano continuamente in sospeso e reagivano con violenza a qualunque domanda gli venisse posta. La scelta di fuggire da loro per raggiungere la Libia è stata la più difficile nella vita di Mahmoud.
Una volta raggiunta Tripoli, la capitale della Libia, non è stato difficile partire. “Lì,” racconta Mahamoud “è sufficiente pagare per trovare qualcuno disposto a portarti sull’altra sponda del Mediterraneo”. Con circa 1500 euro a testa si sono ritrovati insieme a centinaia di altre persone, stipati in una barca non attrezzata a reggere una traversata in mare.
Ora sono finalmente arrivati in Europa, dopo un viaggio durato più di quattro mesi e che li ha costretti ad attraversare cinque frontiere. Hanno passato la notte nella struttura di prima accoglienza messa a disposizione dalle autorità italiane competenti. Con loro non avevano più niente, ma in qualche modo si sono sentiti sollevati.
Jasmin e Rose giocano insieme ad altri bambini nel piazzale del porto, sorridenti per la prima volta dopo mesi. Mahamoud è proprio di fronte a loro e le osserva. “Non so ancora cosa faremo, vorrei andare in Svezia, dirigermi verso i paesi del nord. La mia unica priorità ora è quella di vederle sorridere di nuovo, di garantire loro un’istruzione ed una speranza per il futuro.”
Ad oggi sono più di 2,7 milioni i siriani fuggiti dalla guerra e dalla violenza nel paese e più del 40% della popolazione residente prima del conflitto è stata costretta a spostarsi all’interno del paese o a varcare i confini, con un numero di sfollati che ha superato quota 6,5 milioni.
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