Più di due decenni dopo essere fuggita dall’Afghanistan con suo padre, Deeba ha lasciato in aereo il Pakistan per raggiungere i suoi fratelli e sorelle e ricevere cure specialistiche per la sua disabilità.
Deeba ha 38 anni, soffre di una disabilità cognitiva, è arrivata a New York all’inizio di quest’anno ed è stata accolta calorosamente dai suoi fratelli, che non hanno mai rinunciato a trovare il modo per ricongiungersi negli Stati Uniti. Era la prima volta che lei e suo padre, Abdul, incontravano i loro familiari dopo oltre 20 anni. Questo e’ stato possibile dopo un lungo processo di verifica della domanda di reinsediamento di Deeba da parte delle autorità americane.
Nonostante l’attesa, Deeba si considera fortunata. Centinaia di altre persone non vengono accettate. La storia di Deeba e Abdul mostra l’importanza della famiglia per i rifugiati, così come il bisogno di maggiore informazione dei processi e dei criteri per il reinsediamento e il ricongiungimento familiare.
Assenti nel momento del felice incontro erano la madre e un fratello di Deeba, entrambi dispersi a Kabul nel 1991. Abdul, 70 anni, ha raccontato allo staff dell’UNHCR a Islamabad – alla vigilia della loro partenza per New York della loro tragica perdita e della seguente fuga.
“Non potrò mai dimenticare quel fatidico giorno,” racconta l’uomo anziano, aggiungendo che quel giorno furono anche vittime di un attacco missilistico sulla città. “Mia moglie è stata ferita da un missile vagante che ha colpito la nostra casa. Mio figlio l’ha portata di corsa in ospedale mentre il resto della famiglia si spostava a casa di un amico”, ha spiegato Abdul. “Non ho mai saputo niente di loro… quella e’ stata l’ultima volta in cui li ho visti.”
Con la città sotto assedio e sempre più pericolosa, Abdul ha chiuso la sua impresa di import-export qualche giorno dopo e ha cercato rifugio nel vicino Pakistan con i due figli e le sei figlie sopravvissuti, compresa Deeba.
Nel corso degli anni, i figli di Abdul sono emigrati negli Stati Uniti uno dopo l’altro, riuscendo infine ad avere un visto per Abdul. Tuttavia, i fratelli di Deeba non sono riusciti ad ottenere un visto per lei, che ha rischiato di rimanere in Pakistan senza alcun sostegno familiare.
Dopo aver ricevuto il suo visto, Abdul ha deciso che non poteva lasciare sua figlia da sola. “Soffre di attacchi ripetuti, durantei quali può ferirsi. Devo stare con lei tutto il tempo,” ha detto. “Siamo stati l’uno il compagno dell’altro per tutti questi anni desolati,” ha raccontato, mentre Deeba sorridendo faceva cenni di assenso al suo fianco.
Il loro legame è evidentemente molto forte, i due condividono molte cose, compresi i lavori di casa. “Io lavo i piatti e pulisco la casa”, ha detto Deeba, mentre suo padre confessava di essere il cuoco.
Il resto della famiglia negli Stati Uniti non ha mai perso le speranze di essere finalmente ricongiunti. “Il reinsediamento di Deeba è stato possibile soprattutto grazie all’energica perseveranza della sua famiglia,” ha affermato Amy Buchanan, funzionario del reinsediamento dell’UNHCR a Islamabad.
All’inizio, diversi anni fa, hanno tentato di far richiesta perché Abdul potesse unirsi a loro e anche il loro avvocato li aveva avvisati di non presentare una richiesta separata per Deeba, che si pensava – a torto – potesse essere aggiunta al visto del padre in quanto da lui dipendente in un secondo momento. Ma quando Abdul ha raccontato di Deeba a un officiale statunitense durante un interrogatorio per il visto nel 2011, gli è stato detto che, considerato che lei era un’adulta, bisognava presentare una richiesta separata per lei, e che il processo sarebbe potuto durare anche 10 anni.
Adbul ha deciso che non poteva andare senza di lei. È stato solo quando la cognata di Deeba ha portato il caso all’attenzione dell’UNHCR che le cose hanno cominciato a muoversi nella direzione sperata.
L’UNHCR ha tentato tutte le opzioni disponibili per riunire Deeba con la sua famiglia. Ci è voluto un anno per il trasferimento negli Stati Uniti, un tempo normale per il processo di reinsediamento.
L’Agenzia ONU per i Rifugiati riconosce che i rifugiati con disabilita’ hanno delle necessità specifiche e che il supporto di amici e parenti rimane spesso l’unica assistenza su cui possono contare. Nei casi in cui questo supporto non è disponibile in Pakistan, ma un rifugiato ha parenti all’estero che vogliono e possono prendersene cura, l’UNHCR può riuscire a facilitare il loro trasferimento.
Tuttavia, molti rifugiati non sanno che ci sono queste opzioni disponibili per loro. “In molti casi, le famiglie non trovano il giusto canale e le persone che hanno più bisogno sono lasciate nel limbo,” ha spiegato Buchanan. In Pakistan, l’UNHCR lavora con altre organizzazioni per trovare soluzioni per le persone in condizioni di vulnerabilita’, incluse le persone con disabilita’.
* I nomi sono d’invenzione per ragioni di protezione
Di Duniya Aslam Khan
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